News
I 5 migliori film di Martin Scorsese

Martin Scorsese, classe 1942, è universalmente considerato come uno dei più importanti registi della storia della Settima arte.
L'autore è stato capace di lasciare, con il suo cinema, un'impronta indelebile in tutte le epoche che attraversa e viene ricordato per il suo stile avvolgente, raffinato e iperrealista, che si traduce in virtuosi movimenti di macchina, utilizzati per accompagnare contenuti legati alla violenza insita nell’uomo, al senso di colpa, al peccato e alla religione.

In occasione del suo compleanno, ecco la top 5 dei migliori film di Martin Scorsese

5) FUORI ORARIO (1985)


Una piccola produzione indipendente, che si rivela tra i suoi titoli più riusciti nonché in assoluto il più divertente: una girandola surreale di colpi di scena a metà tra i racconti di Kafka e le slapstick comedy attorno a uno stralunato e iellatissimo antieroe impersonato dall’ottimo Griffin Dunne (anche produttore). La folle notte nel quartiere newyorkese di Soho comprende l’incontro con inquietanti figure femminili – l’autolesionista, la dark, la fanatica degli anni ’60, l’artista “materna” – e vari altri personaggi stravaganti, fino a culminare nella paradossale fuga del protagonista inseguito dalla folla impazzita.

Leggi qui la nostra recensione completa.


4) QUEI BRAVI RAGAZZI (1990)


Una lucidissima analisi di un micromondo che ospita esseri di infinita meschinità e ormai privi di alcun senso dell’onore, un affresco socio-culturale con dialoghi di sorprendente naturalismo che vanno ben oltre lo stereotipo etnico. I fermi immagine congelano l’espressività animalesca dell’atto violento, gli incredibili piani-sequenza fanno girare la testa (memorabile sia la carrellata sulle facce dei compari che l’ingresso di Karen e Henry negli inferi del Copacabana), mentre una soundtrack infinita ci accompagna alla stregua di un juke box impazzito. Scorsese (quasi) al suo meglio, a dispetto dell’unico Oscar conquistato su sei nomination.

Leggi qui la nostra recensione completa.


3) L’ETÀ DELL’INNOCENZA (1993)


Potrebbe sembrare anomalo l’accostamento tra Martin Scorsese, cantore della New York contemporanea e del suo marciume metropolitano, e il romanzo di Edith Warthon, ambientato tra i merletti e i pettegolezzi dell’alto-borghesia americana ottocentesca. E, invece, raramente un matrimonio cinematografico fu così felice: in una ricostruzione d’epoca tanto maestosa e realista da poter essere accostata solo al perfezionismo viscontiano, l’analisi di questo microcosmo soffocato dalle convenzioni sociali e dal culto caparbio delle apparenze è impeccabile e chirurgica proprio come quella dell’universo mafioso in Quei bravi ragazzi (1990). Attori in stato di grazia, inquadrature che ricordano quadri di Monet o Seurat, precisione millimetrica nelle scenografie (di Dante Ferretti) e nei costumi (di Gabriella Pescucci, l’unico Oscar conquistato dal film). Meraviglioso.

Leggi qui la nostra recensione completa.


2) TORO SCATENATO (1980)


Scandita in tappe che alternano gli incontri sul ring ai momenti di una vita personale sopra le righe, la parabola sportiva/esistenziale di LaMotta disgrega i confini del film pugilistico, perché all’autore interessa principalmente esplorare la personalità brutale e l’autolesionismo del protagonista e ritrarre l’affresco sociale di un mondo corrotto e violento (la boxe e i suoi legami con la malavita). Dalla splendida apertura sulle note della Cavalleria rusticana alle sequenze dei match filmate con abbacinante, visionario realismo, il film gode del superbo bianco e nero di Michael Chapman (inframmezzato di alcuni spezzoni a colori) e del montaggio della fedele Thelma Schoonmaker, premiato con l’Oscar.

Leggi qui la nostra recensione completa.


1) TAXI DRIVER (1976)


Dal “casuale” sodalizio con Paul Schrader, ex critico cinematografico passato alla sceneggiatura, nasce il capolavoro assoluto di Martin Scorsese: un viaggio allucinato in una mente deviata e in una New York mai così sporca e infernale. La città, ritratta nelle vivide luci notturne della fotografia di Michael Chapman, è specchio di una nazione incapace di superare la pesante eredità del Vietnam e che nasconde la sporcizia sotto il tappeto della politica più ipocrita. Su questa società corrotta, putrescente e razzista, l’alienato Travis, antieroe per eccellenza del cinema revisionista della New Hollywood, non può che invocare un catartico “diluvio universale” o scatenare in prima persona la sua rabbia repressa. Tante le sequenze entrate nella storia, dall’impressionante monologo del protagonista (il cui «Are you talkin’ to me?» è diventato una battuta cult) allo sconvolgente massacro del pre-finale: attraverso l’uso della violenza, paradossalmente, Travis ottiene il reinserimento nella società. Indimenticabili la colonna sonora jazz di Bernard Herrmann, la presenza dell’ancor giovanissima Jodie Foster e soprattutto la gigantesca performance di un iconico Robert De Niro.

Leggi qui la nostra recensione completa.

Categorie

Maximal Interjector
Browser non supportato.