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Berlinale 2016 – I migliori e i favoriti

In attesa di conoscere il palmarès ufficiale, proviamo a indovinare quali saranno le scelte della giuria capitanata da Meryl Streep. In una edizione in cui il cinema a stelle e strisce non ha particolarmente brillato, se non nell’ambito del documentario, e il cinema dell’area mediorientale si è attestato su un livello abbastanza ordinario, i grandi favoriti sono sicuramente da rintracciare in oriente e nelle produzioni europee, con Francia e Germania in pole position per i premi più importanti. Ma attenzione all’Italia.

Orso d’oro: il riconoscimento più ambito del festival quest’anno potrebbe riservare clamorose sorprese. In un Concorso ben assortito, molto attento a coprire i diversi generi cinematografici, i due film che si sono distinti per qualità artistica dell’opera, originalità della messa in scena e importanza dei temi trattati sono Death in Sarajevo di Danis Tanović e il documentario Zero Days di Alex Gibney: entrambi hanno lo spessore e la forza espressiva per aggiudicarsi un meritatissimo Orso d’oro. Il cinese Crosscurrent di Yang Chao sembrerebbe però avere molte più chances. Ma, quattro anni dopo Cesare deve morire (2012) di Paolo e Vittorio Taviani, il cielo potrebbe essere di nuovo azzurro sopra Berlino, con l’italiano Gianfranco Rosi e il suo Fuocoammare in testa tra i favoriti.

Orso d’argento, Gran premio della giuria: dopo Danis Tanović per An Episode in the Life of an Iron Picker, Wes Anderson per Grand Budapest Hotel e Pablo Larraín per Il club, senza dimenticare Béla Tarr nel 2011 per Il cavallo di Torino, chi si aggiudicherà quest’anno il prestigioso riconoscimento? A Lullaby to the Sorrowful Mystery, opera-fiume del maestro filippino Lav Diaz, rientra sicuramente (e meritatamente) tra i favoriti, ma attenzione a L’avenir di Mia Hansen-Løve o l’exploit di The Commune di Thomas Vinterberg.

Orso d’argento per il miglior regista: lo stile cerebrale di Denis Côté (Boris without Béatrice) potrebbe avere la meglio ma, in un’ottica meno esasperatamente autoriale e più fruibile anche dal grande pubblico, si affaccia l’ipotesi di un trionfo dello statunitense Jeff Nichols (Midnight Special). Nel caso, molto probabile, in cui Death in Sarajevo non si aggiudicasse l’Orso d’oro, il premio alla regia se lo meriterebbe senza ombra di dubbio Danis Tanović.

Orso d’argento per il miglior attore: in un festival in cui è mancata una vera, grande interpretazione maschile, il vincitore in questa categoria sarà, in ogni caso, una piccola grande sorpresa. Ad avere maggiormente impressionato, sono due giovani attori dotati di notevole talento. Dovrebbero contendersi il premio Majd Mastoura (Hedi) e lo svizzero classe 1998 Kacey Mottet Klein (Being 17), già visto in Home (2008) e Sister (2012) di Ursula Meier.

Orso d’argento per la migliore attrice: qui si dovrebbe decidere tutto in un raffinatissimo testa a testa tra la danese Trine Dyrholm (The Commune), impegnata in una prova che sembra rifarsi alle grandi interpretazioni di Gena Rowlands e Cate Blanchett, e l’algida parigina Isabelle Huppert (L’avenir), tra le poche attrici ad aver vinto il Prix d’interprétation féminine al Festival di Cannes (Violette Nozière del 1978, La pianista del 2001), la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia (Un affare di donne del 1988, Il buio nella mente 1995) e l’Orso d’argento (8 donne e un mistero del 2002).

Orso d’argento per la migliore sceneggiatura: introdotto solo nel 2008, in questa edizione del festival il premio dovrebbe andare a Being 17 di André Téchiné o a United States of Love di Tomasz Wasilewski. La scrittura classica (ma decisamente convenzionale) di Alone in Berlin e Genius non sembra avere alcuna possibilità di trionfare.

Orso d’argento per il miglior contributo artistico: il riconoscimento più eclettico del festival, che può andare a fotografia, colonna sonora, suono ma anche scenografia, regia o interpretazione, ad esempio, dovrebbe essere assegnato senza la minima esitazione a Larry Manda, autore della straordinaria fotografia dell’opera di Lav Diaz.

Premio Alfred Bauer: dedicato all’artista berlinese Alfred Bauer, scomparso nel 1986 e direttore del festival dal 1951 al 1976, è un riconoscimento molto importante che ha il compito di premiare l’innovazione di un’opera che apre nuovi orizzonti all’arte cinematografica. Tra gli illustri vincitori compaiono Rosso sangue di Léos Carax, Hero di Zhang Yimou, Il gusto dell’anguria di Tsai Ming-liang e i più recenti recenti Tabu di Miguel Gomes e Aimer, boire et chanter di Alain Resnais. In questa 66ª edizione, se lo meriterebbe Cartas da guerra del portoghese Ivo M. Ferreira.

 

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