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La potenza chiaroscurale del cinema di Matteo Garrone

Asciutto, dolente, viscerale: Matteo Garrone è indubbiamente uno degli autori più incisivi nel panorama italiano cinematografico recente. Un regista che ha saputo fare della rarefazione narrativa e della stilizzazione un marchio di fabbrica, rendendo evidente e necessaria la rappresentazione di dinamiche umane a tratti quasi insostenibili nella loro crudezza.

Partendo dal documento sociale (Terra di mezzo), continuando con gli scorci urbani (Estate romana) per approdare al noir applicato al disagio esistenziale di quell’Imbalsamatore che lo consacra alla Settima arte, Garrone mette a punto una vera e propria estetica dell’abiezione che scava nelle profondità oscure e malsane di personaggi destinati a imprimersi indelebilmente nello sguardo spettatoriale. Ma è con Primo amore che raggiunge la completa maturità artistica, per poi toccare l'apice con i successivi Gomorra e Reality. Molto interessanti le sue incursioni fortemente chiaroscurali nel fantasy (Il racconto dei racconti e Pinocchio), che si sono alternate a un "ritorno alle origini" di notevole potenza espressiva (Dogman).

Ecco di seguito il nostro podio con i migliori film di Matteo Garrone:

3) Primo amore (2004)

Immersione nell’abisso di una perversione psicologica che si traduce in martirio fisico, sguardo allucinato e metafisico sulla grigia provincia italiana e i suoi segreti più taciuti, melodramma in cui il corpo e la sua manipolazione/vessazione giocano un ruolo di primissimo piano: Primo amore segna il passaggio più ambizioso della carriera di Garrone che, oltre a dimostrare di essere maturato definitivamente, fa un ulteriore passo in avanti rispetto al già interessante L’imbalsamatore (2002). Presentato in concorso al Festival di Berlino, il film si ispira al romanzo parzialmente autobiografico Il cacciatore di anoressiche di Marco Mariolini che, un anno dopo l’uscita del libro, uccise l’ex fidanzata a coltellate.

2) Reality (2012)


Matteo Garrone porta sul grande schermo un progetto dalle spiccate ambizioni sociologiche, che lo riconferma come uno dei più interessanti e fondamentali autori europei del periodo. La narrazione si concentra su un uomo piuttosto ordinario e senza talenti particolari, che si convince, di punto in bianco e dopo essere stato spronato dai figli a partecipare a un reality, di essere il prescelto tra chissà quante altre persone, e di poter così ambire a una fama e una visibilità ostacolate dalla precaria condizione sociale; sul corpo evidentemente vissuto e sullo sguardo vibrante e aperto allo stupore di Arena, ergastolano che interpreta mirabilmente il protagonista, Garrone costruisce un film che è una fiaba amara, girata tuttavia con la consueta, liberissima, apparente impersonalità di sguardo. Una parabola, con meravigliose fiammate visionarie, sulla fame di scorciatoie e soluzioni a buon mercato di un’Italia scoraggiata e lobotomizzata dal piccolo schermo. Grand Prix al Festival di Cannes 2012.

1) Gomorra (2008)


Uno dei più grandi film italiani del decennio, una discesa agli inferi priva di sconti che tratteggia un intero Mondo rovesciato, quello della camorra, di rado raccontato con questa lineare onestà e spietata brutalità dal cinema, per non parlare dei media istituzionali, sempre in bilico tra stereotipia e approssimazione. Dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano di due anni prima, Garrone trae un film corale ma non dispersivo, un eccezionale tour de force che rilegge in chiave iperrealistica e cupissima la lezione del cinema criminale scorsesiano e la cala nella realtà espressionista di una quotidianità cui sono stati sottratti il colore e la speranza. Un’opera aperta, che tiene insieme le sue diverse storie con encomiabile neutralità di sguardo e lascia che le rispettive narrazioni fluiscano le une accanto alle altre, in perfetto equilibrio tra la segmentazione del puzzle e il respiro dell’affresco. Un’operazione incredibile anche per come è stata generata e pensata dal suo regista e dal folto team di sceneggiatori (cinque in tutto, Saviano compreso), che l’hanno immersa il più possibile nell’humus culturale, suburbano e criminale al centro della vicenda: il risultato è una prossimità alla realtà di potenza sconcertante, con alcuni veri boss che presero parte alla lavorazione e una verosimiglianza antropologica pressoché millimetrica. Grand Prix al Festival di Cannes 2008.

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