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Il Grinch: dalle pagine del Dr. Seuss al piccolo/grande schermo

“C’era una volta, indovinate un po’,

una città chiamata Chi-non-so

piena di gente simpatica e cordiale

che amava soprattutto la festa del Natale”

 

A distanza di 100 anni (o poco più) dal capolavoro natalizio di Charles Dickens, Theodore Geisel – meglio conosciuto come Dr. Seuss – decide di riprenderne lo spirito e tradurlo in versi poetici per i bambini, dando vita ad una creatura entrata ormai di diritto nell’immaginario comune come lo spirito avverso alla festa più lieta: Il Grinch (in originale, How The Grinch Stole Christmas!). Il Grinch non è infatti molto distante da Ebenezer Scrooge: entrambi dal cuore di pietra, odiano il Natale e sono apparentemente crudeli. Apparentemente, perché durante la notte più magica dell’anno impareranno quale sia il valore del Natale e, in senso lato, la bellezza di provare delle emozioni. Al Grinch, creatura antropomorfa dal folto pelo verde, tuttavia, non interessano i soldi. Il suo odio ha radici più profonde e misteriose, inesplicabili, come scrive lo stesso autore nei suoi versi: “Nessuno sa il motivo di quell’odio micidiale: vi prego di non chiederlo, sarebbe tempo perso. Saran state le scarpe che gli facevan male, o forse la sua testa era avviata di traverso.

Il poema del Dr. Seuss ebbe un successo immediato, tanto da attirare subito l’attenzione di uno dei grandi della storia del cinema d’animazione, Chuck Jones, che in quegli anni lavorava alla Warner Bros., per la quale ha dato vita a racconti con protagonisti i Looney Toons e ha creato personaggi ormai iconici come Marvin il Marziano, Pepé Le Pew e Wile E. Coyote e Beep Beep. Il suo stile calza perfettamente con quella che è l’atmosfera del poema: non convenzionale, non edulcorata, in linea con i suoi Looney ma allo stesso tempo capace di regalare un messaggio morale. I 26 minuti animati e doppiati da Boris Karloff – sia voce narrante che del protagonista – sono una vera perla, citata anche un una sequenza di Mamma Ho Riperso L’aereo, in cui il volto del Grinch si mescola in dissolvenza sul ghigno di Tim Curry. Uno speciale natalizio per la tv cui ne sono seguiti altri 2: Halloween is Grinch Night, del 1977, e The Grinch Grinches the Cat in the Hat, del 1982, crossover tra due opere del Dr. Seuss, Il Grinch e Il Gatto col Cappello.

Perché Il Grinch arrivi al cinema, tuttavia, bisogna attendere il 2000, quando Ron Howard porta nelle sale una versione live action dell’opera, costruendo attorno una trama più stratificata (pur nella sua semplicità) e diretta chiaramente ai più piccoli e ai ragazzi. Non una sfida semplice, vista l’importanza del testo di partenza e come sia ormai divenuto quasi un simbolo. Eppure, il risultato è più che apprezzabile. Narrato da Anthony Hopkins, il film trova la chiave del suo successo nell’interpretazione di Jim Carrey, a suo agio in un personaggio grottesco cui è in grado di donare comicità, crudeltà ed empatia, soprattutto nella relazione con la piccola Cindy Lou. In questo caso, inoltre, è molto più marcata la critica mossa verso il consumismo e la perdita del vero spirito del Natale che, mentre nel poema originale era qualcosa di semplicemente incomprensibile al Grinch, ora è motivato dai regali buttati e dalle sequenze in cui viene esplicitamente mostrata una corsa al regalo e all’addobbo di una popolazione capace di dimostrarsi più arida di cuore di quanto non lo sia l’apparente mostro. In tal senso, è significativo l’ingresso in scena di Cindy: il papà, nel frastuono di un centro commerciale, non la trova, finché sente la sua voce sepolta dai pacchetti natalizi. Il messaggio è chiaro sin da subito.

Boris Karloff, Anthony Hopkins e Jim Carrey, ora è il turno Benedict Cumberbatch: voci illustri per una favola divenuta uno dei simboli del Natale. Ma non ditelo al Grinch, potrebbe non gradire.

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