Arriverà in sala il prossimo 6 Aprile l’ultimo film di Aki Kaurismäki, L’altro volto della speranza, vincitore dell’Orso d’Argento come miglior film all’ultimo Festival di Berlino. Per l’occasione abbiamo stilato una classifica dei migliori lavori del grande regista finlandese tenendo conto del giudizio della redazione di LongTake.
Ecco i suoi 5 film più belli!
5° posto: L’altro volto della speranza
Un racconto di speranza fortemente calato nella contemporaneità, che prende di petto l’intolleranza e la situazione politica di oggi (oltre al profugo siriano c’è anche un ragazzo iracheno in attesa di capire quale sarà il suo futuro). Due storie destinate a trovare un punto di contatto, con protagoniste due figure dall’infinita umanità che provano a dare una svolta alla propria vita, consapevoli di dover fare fronte a ottusità e ingiustizie: il sogno, sia per Khaled, sia per Wikström, è quello di realizzarsi all’interno della vita ordinaria, nel pieno rispetto di quei valori universali che dovrebbero essere garantiti a tutti. Kaurismäki trova la semplicità dei tempi migliori, conservando la capacità di far riflettere sull’oggi pur muovendosi in una dimensione apparentemente atemporale, aggiungendo alla propria poetica un prezioso tassello.
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4° posto: Ho affittato un killer
Fiaba noir ai tempi della Thatcher e primo film non finlandese di Kaurismäki, Ho affittato un killer conserva tutte le caratteristiche principali della poetica del regista finnico, il quale aggiunge alla sua galleria di personaggi perdenti e diseredati il malinconico e sfortunato Henry Boulanger, interpretato con una straordinaria mimica minimalista da Léaud, uno degli attori simbolo della Nouvelle Vague. A metà tra Buster Keaton e Jaques Tati, il personaggio di Bounlanger restituisce con delicata efficacia lo spaesamento, l’emarginazione degli ultimi e quel senso di profonda inadeguatezza al mondo che li sbeffeggia. Perfetto il lieto fine d’altri tempi che consegna il film alla tenerezza semplice di una favola contemporanea essenzialmente tragica, che non indica mai una luce in fondo al tunnel. Una illusione di felicità all’interno di un mondo che non lascia scampo di vero riscatto: e gli ultimi resteranno ultimi.
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3° posto: Miracolo a Le Havre
Fiaba contemporanea su uno dei drammi più cocenti della modernità, quello dei migranti, che in fuga da guerra e carestia mettono in gioco la propria vita per tentare di riappropriarsi di un futuro. Un’opera al di là di ogni possibile pregiudizio, scarna, essenziale e quasi irreale, eppure proprio per questo viva, palpitante e scevra da ogni complicazione ideologica, politica, economica e sociale. Al servizio di una scrittura (come al solito del solo Kaurismäki) semplice e ridotta all’osso, si snoda una narrazione quasi archetipica (i personaggi agiscono, maturano, cambiano nell’arco di pochi minuti, se non nella stessa scena; mentre le azioni semplicemente avvengono, l’una giustapposta all’altra), sublimata dallo stile ormai riconoscibilissimo del regista finlandese che fa proprio dell’immobilità, della pausa recitativa, della composizione geometrica del quadro e del dettaglio, i suoi punti di forza.
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2° posto: La fiammiferaia
Costruito come una spirale, dove la fine, pur simile all’inizio, ne è una evoluzione, La fiammiferaia (capitolo finale della cosiddetta “trilogia dei perdenti” dopo Ombre dal paradiso del 1986 e Ariel del 1988) descrive con la velocità di una stilettata e con il rigore narrativo di una pura cronaca, il punto di non ritorno di un “perdente” che, giunto all’apice dell’indifferenza, dell’umiliazione fine a se stessa e dell’incomprensione, reagisce con forza eguale e contraria, sotto il segno della freddezza e della spietatezza. Come nella maggior parte dei film di Kaurismäki, la narrazione procede azione dopo azione, svuotata di tutta la sovrastruttura intellettuale, sociale e psicologica, riducendo all’osso tutta l’impalcatura narrativa e facendo emergere, tramite gli sguardi lunghi, fissi e impietosi della macchina da presa, l’essenza del personaggio e la sua inarrestabile evoluzione tragica.
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1° posto: L’uomo senza passato
Il cinema di Aki Kaurismäki è capace di raccontare, attraverso un immaginario surreale nella sua essenza, i propri personaggi con un attenzione dolorosa alle loro mancanze e alle loro privazioni quotidiane. In questo senso, L’uomo senza passato è uno dei film del regista finnico che presenta uno dei suoi personaggi più estremi e degradati: un uomo che non solo è emarginato dal mondo, ma ne è addirittura al di fuori, che si risveglia dopo essere stato dichiarato morto senza un nome, un cognome, un numero di previdenza sociale. Un protagonista che vive in un mondo altro, dove ha costruito (insieme ad altri “esuli”) una realtà parallela, con le proprie regole, la propria giustizia, i propri problemi. Ma c’è la possibilità del riscatto, il rientro nel mondo, l’amore salvifico che sottende il miracolo fiabesco della rivincita dell’ultimo dei san Giorgio contro l’immenso Drago, che invece era precluso ai tanti altri personaggi messi in scena in precedenza da Kaurismäki.