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Intervista a Laura Bispuri, regista di "Vergine Giurata" e "Figlia mia"

Intervista a Laura Bispuri

di Maria Palombella

Laura Bispuri, regista e sceneggiatrice romana, ha girato vari cortometraggi e due film: notevole in proporzione il numero e il prestigio dei riconoscimenti internazionali.

Il Festival di Berlino ospita entrambi i suoi film in Concorso: il primo film del 2015, Vergine Giurata, è tratto da un romanzo di Elvira Dones, con protagonista Alba Rohrwacher, che tre anni dopo affianca in Figlia mia Valeria Golino, Sara Casu e Udo Kier.

Con Vergine Giurata vince molti premi tra cui il Nora Ephron Prize al Tribeca di New York, il Golden Gate New Directors Prize a San Francisco, il Firebird al Festival di Hong Kong, il FIPRESCI al Festival di Krakow e, in Italia, il Globo d’oro come opera prima. Il film è stato inoltre selezionato in più di 80 festival in tutto il mondo.

Con Figlia Mia vince il Jury Prize al Festival di Hong Kong, il Golden Anchor Competition all’Haifa Film Festival, il premio Mariangela Melato per le due attrici protagoniste e il film viene selezionato in molti festival nel mondo, a New York (Tribeca), a Sydney, a Oslo, a Karlovy Vary, a London (BFI) e a Los Angeles (American Film Institute).

Entrambi i film indagano sulla costruzione dell’identità femminile e su come questa risponda a, e a volte contrasti con, aspettative, vincoli e condizioni socialmente definiti.

In questa ricerca, il compito di riportare allo spettatore le intuizioni della regista è affidato alla sua sensibilità di narratrice e a quanto le interpreti sanno cogliere ed esprimere le sfumature e i contrasti dell’universo femminile.

Come mai si trova così bene a lavorare con Alba Rohrwacher?

L’incontro con Alba è coinciso col mio primo film, Vergine Giurata, un film piuttosto “spericolato” per essere un’opera prima, ambientato in un luogo remoto, girato per più di metà in lingua albanese. La scelta di Alba rappresentava una sfida: un’attrice molto riconoscibile a cui chiedere di interpretare un personaggio metà uomo metà donna, albanese, di montagna. Scegliere un’interprete del luogo poteva essere forse più semplice, ma mi sono intestardita, volevo fosse lei. È stata un’esperienza forte per entrambe in una situazione particolare che poteva unire o  fallire totalmente, Alba ha imparato l’albanese e lavorando insieme è nata una scintilla, un profondo legame di amicizia. Ho finito Vergine Giurata con l’idea di volerla mettere alla prova in un personaggio completamente diverso: Angelica, la vera madre di Vittoria in Figlia mia, è un ruolo pensato come sfida al precedente; la nostra sintonia ci ha permesso inoltre di improvvisare, di lavorare in un modo naturale e davvero molto interessante.

In Figlia mia Valeria Golino interpreta Tina, madre non biologica di Vittoria, ma presente, solida, organizzata; sono tratti che fanno parte della persona o avete dovuto lavorare sulla loro espressione?

Il lavoro con Valeria è stato accurato, complesso, la sua natura è distante dal personaggio di Tina: Valeria nella vita è una forza della natura, una donna più selvaggia, più “folle”, meno pacata, meno ordinata.

Abbiamo lavorato molto in “sottrazione”, soprattutto sulla gestualità: sul set, ad esempio, la sua espressività la portava a  muovere continuamente le mani, abbiamo lavorato molto sul controllo, sull’interiorizzazione delle emozioni. Questo lungo lavoro ha reso forse tanto efficace la scena notturna: d’impulso corre dalla vera madre della bimba che ha cresciuto a dirle che la odia per avergliela tolta. È una scena che io amo particolarmente, c’è un senso di rottura degli schemi, emerge la natura speculare dei due personaggi femminili, una diventa un po’ l’altra.

Con quale attrice ti piacerebbe lavorare?                        

Joanna Kulig [trentasettenne polacca vincitrice nel 2018 di un European Film Awards come miglior attrice in Cold War].

Quanto è importante oggi avere delle registe donne nell’industria cinematografica italiana?

Molto importante, soprattutto per creare un immaginario che non c’è e di cui invece abbiamo bisogno. Siamo ancora in poche a fare questo mestiere, non solo in Italia, ma nel mondo.

Parlando di Figlia mia, un elemento che colpisce è lo sguardo compassionevole, mai giudicante che si posa su queste madri: immaginando un film di denuncia intorno alla figura materna, quale potrebbe essere l’argomento trattato?

In qualche modo Figlia mia ha uno spirito di denuncia: intacca lo stereotipo della madre “santa”, presente nella cultura Italiana per cui la figura materna rappresenta un tabù. Oltre a sollevare la riflessione sulla struttura tradizionale della famiglia, ho provato a raccontare due donne complicate, perché vedo in questa complessità verità e bellezza. Il senso del film è proprio nell’accettazione del bene e del male, nell’assoluzione delle imperfezioni materne di fronte all’indiscusso amore per i figli.

In un’intervista hai detto che solo dopo una lunga ricerca hai trovato Sara Casu, la bambina che in Figlia Mia ha interpretato Vittoria: che cosa l’ha resa particolarmente adatta a quel ruolo?

Il film ha tre coprotagoniste, serviva una bambina che sapesse affrontare un ruolo impegnativo:  Sara porta sulle spalle il film quanto le sue colleghe adulte. Mi è piaciuto che fosse sarda ma con dei colori quasi irlandesi, comunicava l’intenzione del film  di raccontare una Sardegna non stereotipata. Ho notato un equilibrio nella sua voce e la somiglianza con Alba, davvero forte in alcune sequenze. Durante i provini molte bambine hanno risentito del peso emotivo del racconto, la scoperta di avere due madri, la forza di alcune scene. Ho visto Sara riuscire a sostenere tutto questo con una centratura personale sorprendente per la sua età. Davvero un’interprete incredibile.

Che dinamiche interpersonali si sono instaurate tra la piccola e le due attrici?

Alba si relazionava con Sara in modo un po’ simile ad Angelica, la madre scombinata che interpreta, si divertiva a “sbatacchiarla” e da questo spirito è nata naturalmente la scena del canto. Durante l’ultimo provino della piccola, ho chiesto ad Alba di ballare sulle note di “Questo amore non si tocca”, brano che mi piaceva fosse nel film: ho suggerito alla bambina di seguirla e mostrarsi affascinata e intimorita. La scena è molto spontanea ed efficace nel raccontare il duplice stato d’animo di Vittoria nel percorso di scoperta della sua vera madre.

Con Valeria ho cercato di trovare ispirazione da piccoli gesti tra lei e Sara. Volevo raccontare i momenti di amore quotidiano che una madre conosce bene, non facili da rendere al cinema perché rischiano di sembrare banali pur non essendolo affatto: il riposo insieme sul letto della cameretta, la corsa nel corridoio che è nata proprio parlando con Valeria.

Quali sono per una regista le differenze tra lavorare su una sceneggiatura originale come Figlia mia e su un soggetto tratto da un libro come Vergine giurata?

Entrambi i film sono stati scritti con Francesca Manieri, la sceneggiatrice con cui lavoro. Per il mio primo film, Vergine Giurata, abbiamo rielaborato il libro con l’idea di rispettarne il “cuore”, approccio vincente a mio avviso rispetto alla riproduzione del testo in immagini scena per scena. Io e Francesca in fase di sceneggiatura ci siamo più volte confrontate con l’autrice Elvira Dones, che ha molto apprezzato il nostro lavoro.

Figlia mia nasce da un’idea originale, con difficoltà diverse dal primo film. La sfida principale è stata quella di mantenere i tre punti di vista rispetto alla storia, quello delle due madri e della figlia, che si alternano senza mai prevalere uno sull’altro grazie a un complesso lavoro di scrittura, ripresa e montaggio.

Vergine giurata è ambientato nell’Albania del nord: per una regista che dà importanza ai luoghi come te, com’è stato l’impatto emotivo con quel luogo?

Ho dedicato a ogni film circa due anni di ricerca, alternando scrittura e viaggi in cerca di luoghi, volti, suoni, atmosfere da inserire nei miei film pezzo per pezzo: mi piace sapere che questa accuratezza nella scelta dei luoghi arrivi al pubblico. Le montagne albanesi sono un luogo remoto, straniero, che ho dovuto conoscere prima di raccontare : ho letto molto, incontrato personalmente le vergini giurate. Ogni volta che entravo e uscivo da lì, sentivo un enorme “sbalzo” emotivo. Mi capita spesso  ancora di sentirne nostalgia, è un luogo che mi ha travolto.

E a proposito della Sardegna?

La scelta in questo caso è stata più libera rispetto al primo film: le vergini giurate vivono solo in quel territorio specifico, con Figlia mia ho avuto l’intera Sardegna da scoprire in totale libertà, non sapevo dove volessi andare, dovevo solo perdermi. Tra le due esperienze non è mai cambiata la sensazione di “sbalzo” interiore nell’impatto coi luoghi, il bisogno di entrare e uscire da nuovi mondi è parte della mia natura.

Quanto il tuo stile è influenzato dall’avere uno sguardo documentaristico?

Abbastanza. L’approccio è senz’altro documentaristico, parto sempre dalla realtà: cerco di entrare nelle case, stare con le persone, per integrare ciò che vedo a ciò che scrivo a distanza. Tassello dopo tassello cerco di far confluire le traiettorie, i personaggi dell’immaginazione, nella dimensione reale; questo lavoro di convergenza è stata necessario soprattutto in Vergine Giurata.

Sembra rivestire per te molta importanza il tema della ricerca dell’identità, quella di genere in Vergine giurata e materna in Figlia mia: è un tema universale che ti sta a cuore anche personalmente?

Sì.

Ci sono film nella tua memoria che indagano in modo efficace questo tipo di ricerca?

Molti, sull’identità di genere in particolare ce ne sono di splendidi, come Boys dont’cry, XXY, Lezioni di piano.

Sempre in tema di identità, che tipo di madre sei e come ti definisci?

Spero di essere l’unione tra Tina ed Angelica.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Rimangono ancora riservati, li affronto con grande entusiasmo.

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