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"Maniac": Cary Fukunaga indaga la mente e i generi senza convincere del tutto

“It’s quite terrible to be alone”


Quanta solitudine, invece, provata dai due protagonisti di Maniac, i cui destini sembrano inevitabilmente essere intrecciati sin dalle prime sequenze. Annie Landsberg (Emma Stone), depressa, e Owen Milgrim (Jonah Hill), schizofrenico, decidono di fare da cavie per un esperimento scientifico-psichiatrico che potrebbe porre fine alle loro sofferenze, portando a galla ciò che li ha condotti alla loro condizione attuale, promettendo una guarigione.



Un esperimento farmaceutico dall’effetto collaterale inaspettato e quasi drastico, che rende catartica l’esperienza per i protagonisti e per chi sta tirando le fila di tutto, passando in breve da carnefice a vittima. Cary Joji Fukunaga utilizza il linguaggio del sogno e della psiche umana come chiave di lettura per potersi approcciare a Maniac, opera che vive delle sue incoerenze estetiche, di repentini cambiamenti e di una (voluta) confusione lungo il corso della narrazione. In tal senso è vincente e accattivante la decisione di passare da un genere all’altro, esplorando, sperimentando fusioni, rischiando incongruenze e lungaggini (talvolta, va detto, cadendoci) ma supportando il tutto con una regia sapiente e non priva di orpelli e virtuosismi, con una fotografia di discreta qualità in cui può muoversi un cast in ottima forma. Se il premio Oscar Emma Stone si conferma ancora una volta grande attrice – più sul mood di Birdman che di La La Land – è Jonah Hill a stupire con una performance melanconica e drammatica che lascia trasparire tutta la sofferenza e la disperazione del suo personaggio, in un ruolo agli antipodi rispetto a quelli cui ci ha abituati: sempre fuori posto, fuori tempo, fuori dalla realtà in cui (non) vive.



Però. Un però c’è, ed è su questo che si arena l’entusiasmo per una produzione dalle aspettative altissime e purtroppo solo parzialmente attese: l’indiscutibile bellezza estetica rischia di crollare nel manierismo, nell’assenza di coesione che rende debole una narrazione dalle potenzialità enormi ma mai veramente sfruttate, sacrificate nel nome del visivo e dell’onirico. Che funzioni in questo modo la mente umana? Che i sogni e una sorta di psicanalisi ipnotica forzata portino a risultati sorprendentemente catartici e visionari? Forse. Ma è un dubbio che resta forte, anche troppo, per poter essere pienamente soddisfatti.


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