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Workshop su Quentin Tarantino: i vostri elaborati

A seguito del nostro workshop su Quentin Tarantino abbiamo chiesto ai partecipanti di scrivere un’analisi del cinema del grande regista americano. Ecco la più interessante:

 

Andrea Ravasi

QUENTIN TARANTINO. IL RACCONTO DENTRO IL RACCONTO

IL MAGGIORE MARQUIS WARREN vs IL GENERALE SANDY SMITHERS

 

In The Hateful Eight Tarantino decide di inserire la sequenza di maggior tensione e carica emotiva esattamente a metà del racconto, alla fine del capitolo 3, L’ emporio di Minnie, che segna la chiusura del Primo Atto dei due che compongono il suo film più teatrale. Come spesso accade nei suoi lavori, i personaggi sono talvolta costretti a recitare una parte, al limite del meta cinematografico; basti pensare alla storia che Mr. Orange decide di raccontare per farsi prendere nella banda di Joe ne Le Iene, con tanto di prove e studio del personaggio; o il tentativo di Aldo Raine di fingersi un attore siciliano pur di partecipare alla prima dell’Orgoglio della nazione, in Bastardi senza gloria. Ma è con il suo ottavo film che Quentin porta all’estremo questo aspetto del suo cinema, facendo svolgere la vicenda per quasi tutta la sua durata in un solo luogo, l’emporio di Minnie, che proprio per conformazione è associabile ad un palcoscenico, celando di quasi ogni personaggio la reale identità. È qui che casualmente si incontrano il Maggiore Marquis Warren, interpretato da Samuel L. Jackson, e il Generale della confederazione Sandy Smithers, Bruce Dern, venuto in Wyoming per comprare un appezzamento di terra al cimitero di Redrock per commemorare la morte del figlio: tra i due non scorre di certo buon sangue, per usare un eufemismo, vista la loro incolmabile differenza politica e il deprecabile razzismo che caratterizza il Generale. I due sembrano avere un attimo di tregua proprio all’inizio della sequenza sopra citata, infatti Warren porta un piatto dello stufato caldo di Minnie al nemico, ed entrambi si concedono l’onore delle armi avendo condiviso lo stesso campo di battaglia. Il tutto avviene mentre Bob “Il Messicano” inizia a suonare Silent Night al piano, il cui dolce motivo sembrerebbe far propendere verso quella che appare a tutti gli effetti come una momentanea riappacificazione. I toni sono quelli solenni e al contempo tragici di chi ha visto l’uomo nella sua forma più nuda e cruda, partorito dalla guerra, difficile da descrivere e da far percepire a chi non l’ha vissuta direttamente. Ma Tarantino non sarebbe Tarantino se nel punto di più alta carica emotiva non decidesse di cambiare registro, e trasformare quello che si mostrava come un attimo di tregua in un subdolo, da un certo punto di vista malvagio, ma decisamente geniale e giustificabile, momento di vendetta e rivalsa da parte del Maggiore Warren. Lasciando una pistola di fianco alla sedia del generale confederato, Warren inizia a raccontare di come sia stato lui ad ucciderne il figlio, venuto sulle montagne del Wyoming a cercare di riscuotere la taglia pendente sulla sua testa, senza trovare però fortuna ma una lenta e dolorosa morte, costretto a camminare per oltre due ore nudo nel freddo delle innevate montagne e a praticare una fellatio al Maggiore per avere una coperta, prima di essere brutalmente ucciso. Tutto il talento registico e narrativo del cineasta di Knoxville, viene qui sciorinato in maniera magistrale, grazie ad un perfetto utilizzo dei tempi della narrazione, della prossemica dei personaggi, e dalla presenza e dell’assenza della fievole musica di sottofondo che fa crescere in maniera esponenziale la tensione della sequenza, che al suo culmine ritrova l’incedere delle note del maestro Morricone. Lo spettatore non può distogliere lo sguardo dallo schermo e pur sapendo in cuor suo che il generale finirà per prendere la pistola per sparare non può far meno di chiedersi se questo avverrà veramente. Tarantino intervalla le immagini del tempo presente della locanda, a quelle del flashback narrato, in cui è evidente la citazione leoniana de Il buono, il brutto, il cattivo della scena in cui Eli Wallach “porta a spasso” Clint Eastwood nel deserto. Qui siamo di fronte ad un altro dilemma, non sappiamo se il racconto di Warren sia effettivamente vero oppure un semplice escamotage per indurre Smithers a cedere per primo ed impugnare la pistola rendendo legittima la difesa del Maggiore. Il personaggio di Samuel L. Jackson si ritrova a recitare ancora una volta una parte, così come avveniva con la storia della lettera di Abramo Lincoln, o seriamente ha ucciso il figlio di Smithers? Tarantino sembra lasciarci questo dubbio, e il fatto che noi possiamo vedere le immagini del racconto non fa pendere la bilancia dal lato della verità di quest’ultimo, visto che anche ne Le Iene ci veniva mostrato quello narrato da Mr.Orange. Ma è visivamente che il regista costruisce in maniera perfetta l’intera sequenza mostrandoci dapprima i personaggi seduti uno di fronte all’altro, vicini a parlare in maniera quasi amichevole, per poi allontanarli più la situazione si fa tesa, tanto da evidenziare nuovamente l’incolmabile distanza che li caratterizza. Come un navigato maestro d’opera Tarantino decide inoltre di far intervenire all’apice del climax un terzo personaggio, Chris Mannix “Lo Sceriffo”, per tentare di scongiurare l’inevitabile scontro, ma ormai è tardi e le pistole iniziano a cantare. Inizi a farti un’idea?!

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