L'alfabeto di Peter Greenaway
The Greenaway Alphabet
2017
Paese
Olanda
Genere
Documentario
Durata
68 min.
Formato
Colore
Regista
Saskia Boddeke
«La vita è arte e l’arte è vita». Questo il motto di Peter Greenaway, filmmaker fra i più eclettici del cinema contemporaneo. Partendo da questa premessa, Saskia Boddeke, artista multimediale nonché moglie del regista, fa incursione nella mente del marito. La creatività di Greenaway è incorniciata in una conversazione con la figlia adolescente Pip, che in un dialogo ricco d’ironia mette in ordine alfabetico i punti salienti della vita del padre. «A come Amsterdam», dice Mister Greenaway, ma anche “A come Autismo”, lo incalza Pip. Le domande della figlia lo colpiscono dritte al cuore, permettendo alla moglie di trarne un ritratto unico nel suo genere: quello di un visionario, sì, ma soprattutto di un uomo e della sua battaglia contro il tempo. Documentario dedicato al grande cineasta gallese, L’alfabeto di Peter Greenaway è una vitalissima incursione nell’arte e nella quotidianità del regista de Lo zoo di Venere (1985) e Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (1989), viste dallo sguardo prossimo e intimo, rivelatore e beffardo delle donne della sua vita. Il ritratto di Greenaway che viene fuori è un concentrato di radicali paradossi e cinica amabilità nel quale il cineasta sguazza sornione, alternando riflessioni sulla consapevole volgarità dell’arte a digressioni enciclopediche che riproducono la matrice profonda del suo cinema. Il taglio da prontuario alfabetico appare poi particolarmente pertinente, perché perfettamente raccordato con l’arte di Greenaway, da sempre prossima al catalogo, alla mappatura barocca di tutto ciò che rientra nel campo del figurativo, a quell’idea di “scienziato dilettante” tanto cara ad Ejzenstejn. E a emergere, tra un momento folgorante e un frangente più buffo ed esilarante, è soprattutto l’idiosincrasia di Greenaway per il cinema come testo illustrato, essendo la settima arte, a suo dire, “un mezzo troppo sofisticato per essere lasciato ai narratori”. Ma anche l’avversione per la storiografia tradizionale (“una branca della letteratura”), la riflessione tra serio e faceto sulla sopravvivenza della sua arte, il proposito di suicidarsi una volta raggiunti gli ottant’anni e il rapporto conflittuale con il padre ornitologo e avverso alla passione del figlio per la pittura, che ha portato il suo cinema degli esordi a essere fatalmente affascinato dai voli degli uccelli. Una visione obbligata per i fan del regista, ma anche per tutti coloro che intendano trovare delle chiavi di lettura minime ma nient’affatto banali per avvicinarsi alle sue opere, al netto di qualche compiaciuta ridondanza estetico (gli split screen) e di qualche momento (il dialogo sull’amore con la figlia che spazia da Romeo e Giulietta a Sex & the City, ad esempio) a metà tra la comicità, l’autoreferenzialità e la schermaglia affettuosa.
Maximal Interjector
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