Beautiful Boy
Beautiful Boy
2018
Amazon Prime Video
Paese
Usa
Genere
Drammatico
Durata
112 min.
Formato
Colore
Regista
Felix van Groeningen
Attori
Timothée Chalamet
Steve Carell
Maura Tierney
Amy Ryan
Kaitlyn Dever
Andre Royo
Timothy Hutton
LisaGay Hamilton
Jack Dylan Grazer

Il giornalista freelance David Sheff (Steve Carell) ha un figlio, Nic (Timothée Chalamet), piombato nel baratro della tossicodipendenza, che lo porta ad assumere ogni tipo di droga, dall’eroina all’ecstasy, dalla cocaina alla potentissima metanfetamina nota come Crystal Meth. Un cappio stretto intorno alla sua vita che ha trasformato anche la quotidianità di David in un buco nero di dolore, dal quale non sembra esserci via d'uscita. 

Tratto addirittura da due autobiografie, quella dei veri David e Nic Sheff, Beautiful Boy è una dramma sulla droga che sceglie di mettere a confronto due punti di vista diversi: quelli di un padre e di un figlio segnati, l’uno in maniera attiva e l’altro in modo passivo, da una “malattia", come la si definisce nel film, che non fa eccezioni di nessun tipo, non guarda in faccia nessuno, può colpire chiunque e nelle maniere più subdole e devastanti, straziando un nucleo familiare e lasciando solo cicatrici impossibili da rimarginare e detriti per i quali non è previsto smaltimento alcuno. Una scelta interessante solo in partenza, perché Felix Van Groeningen si conferma cineasta discutibile, incerto e ondivago nelle scelte formali, moralmente ambiguo e poco centrato. Anche in questo caso, come nel precedente Alabama Monroe - Una storia d’amore (2012), il regista belga alterna piani temporali a uso e consumo della lacrima facile, ricatta lo spettatore sul piano emotivo simulando una finta, impassibile oggettività che tuttavia, a non volerci cascare, non può che essere bollata come manipolatoria. Di tutto ciò ne risentono anche i due attori protagonisti, pur bravissimi: la regia di Van Groeningen, a caccia di un’equidistanza che scantona sempre nelle soluzioni più grossolane, li manda in più di un’occasione fuori giri, non riuscendo a cogliere e a incasellare nel modo giusto né la sofferenza né il dolore lancinante dei personaggi di Steve Carell e Timothée Chalamet. Tant’è che il loro patire, apparentemente opposto ma in realtà complementare, in più di un’occasione suona strozzato e artificiale, programmatico e fasullo. L’elemento che fa rabbrividire più di ogni altro, nel film di Van Groeningen, è però l’utilizzo della musica, tra i peggiori registrati al cinema negli ultimi anni: enfatico oltre ogni limite, pieno di suoni metallici che dovrebbero risultare disturbanti a comando, incapace di silenziarsi quando sarebbe necessario (ovvero quasi sempre). Ma soprattutto totalmente restio a rannicchiarsi e accoccolarsi nelle pieghe più intime di una storia familiare davvero terribile, che purtroppo finisce impietosamente nel tritacarne di un cinema del dolore scaltro e poco ispirato. Steve Carell si conferma attore dagli ottimi tempi drammatici, anche se in questo caso fa male vederli quasi del tutto sprecati (i momenti migliori sono ad ogni modo i flashback che lo vedono protagonista), mentre Chalamet è volenteroso e di indubbio talento, anche se la direzione di Van Groeningen non lo aiuta affatto e lo induce, purtroppo, a gigioneggiare e a esagerare, perdendo qua e là la bussola. Presentato al Toronto Film Festival e alla Festa del Cinema di Roma nel 2018.

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