Tomas (Johannes Kuhnke) ed Ebba (Lisa Loven Kongsli), genitori di Vera (Clara Wettergren) e Harry (Vincent Wettergren), sono in vacanza sulle Alpi svizzere per quella che si prospetta come una vacanza perfetta. Un evento tronca però la serenità del quadretto familiare: mentre sono seduti a un tavolo, una valanga sembra essere in procinto di travolgerli. Tomas, sul momento, ha l'impulso di scappare e abbandonare lì dove si trova la sua famiglia, al contrario della moglie. I quattro sopravvivono, ma qualcosa si rompe. Lo svedese Ruben Östlund, già regista di Play (2011), si cimenta con un dramma familiare raggelato a tinte "sommessamente forti". Un film sulla crisi personale di un'identità che si scopre fragile, nello specifico quella di un padre di famiglia come tanti altri che si ritrova nudo e disarmato agli occhi della consorte, denudato in un fatale istante di debolezza in cui ha lasciato prevalere il bestiale (legittimo?) istinto di sopravvivenza. La moralità del gesto è affrontata dal regista con la stessa granitica lucidità di un teorema, amplificando di sequenza in sequenza, attraverso una messa in scena fredda e controllatissima, le nevrosi e i calvari psicologici di una relazione che si logora sotto il peso gravoso dei non detti, della fiducia che si sgretola, della commiserazione e del disprezzo che si fanno largo indisturbati. Una pellicola raffinata nella sua estetica minimal che segue il tracciato di un loop in cui dettagli, inquadrature fisse e quadretti e sardonici si rincorrono, che rischiano di portare lo spettatore al limite della saturazione nella loro ripetitività. Notevole per tenuta stilistica, peccato che il finale comprometta la rigorosità dell'opera cercando, senza metterla a fuoco, una resa dei conti eccessivamente metaforica.