L'imbalsamatore
2002
Paese
Italia
Generi
Drammatico, Sentimentale
Durata
101 min.
Formato
Colore
Regista
Matteo Garrone
Attori
Ernesto Mahieux
Valerio Foglia Manzillo
Elisabetta Rocchetti
Lina Bernardi
Pietro Biondi
Rosario J. Gnolo
Peppino Profeta (Ernesto Mahieux) lavora come imbalsamatore, ma è al soldo della criminalità organizzata, che usa gli animali impagliati per loschi scopi. La vita dell'uomo cambia quando conosce Valerio (Valerio Foglia Manzillo), un ragazzo di bell'aspetto che è in procinto di sposare la fidanzata Deborah (Elisabetta Rocchetti). Peppino, complice la sua invadenza e i suoi ambigui gusti sessuali, sconvolgerà l'equilibrio della coppia.

Il film che ha rivelato il talento di Matteo Garrone: quello di un autore raffinato, oscuro, forte di un respiro noir applicato a storie di ordinario disagio individuale e sociale, peraltro all'interno del contesto geografico e cinematografico di un meridione piuttosto alieno rispetto alle modalità con cui si è abituati a rappresentarlo sul grande schermo. Garrone si ritrova a lavorare su dei personaggi finalmente forti (specialmente lo sgradevolissimo nano tassidermista di Mahieux), mettendo a punto una nuova estetica del deforme e dell'abietto e rifondandola in profondità. Passare da una troupe di cinque persone, quella di Ospiti (1998), a una di trentacinque, ha permesso al suo sguardo di viaggiare su un'altra velocità, con una sicurezza fino a questo momento solo intravista, probabilmente dovuta a un lavoro di sceneggiatura durato più di un anno e a una maggiore consapevolezza dei propri mezzi. Il film però non convince fino in fondo, per via di un'aderenza all'emotività dei personaggi che risulta più pensata a tavolino che fatta passare attraverso le loro reali intenzioni e azioni. L'imbalsamatore, infatti, nonostante il cuore nero dei protagonisti (anche quelli apparentemente senza macchia non sono esentati, anzi), non scava molto oltre la superficie della loro esteriorità sociale, come se essa bastasse già a se stessa, senza bisogno d'approfondire oltre, senza mettere a nudo gli elementi in grado di scuotere le certezze e le comodità stereotipiche e sociologiche dello spettatore. Interessante e originale, ma non del tutto compiuto. Garrone evolverà e completerà l'anima del film, riversandone buona parte dello spirito nel successivo Primo amore (2004), ben più crudo, affilato e sconcertante, tanto nelle premesse quanto nei fatti. Nel finale il regista fa ricorso per la prima volta a un dolly.
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