In Perù un professore universitario (John Hurt) scompare mentre è alla ricerca di un enigmatico teschio di cristallo, manufatto di epoca precolombiana dotato di misteriosi poteri. Indiana Jones (Harrison Ford) si mette sulle sue tracce per evitare che l'oggetto possa finire nelle mani sbagliate.

Quarto capitolo della saga di Indiana Jones, segue di diciannove anni Indiana Jones e l'ultima crociata (1989). Il lunghissimo intervallo, dovuto in primis a divergenze produttive tra George Lucas e Harrison Ford, non può non avvertirsi. Indy è un personaggio figlio dell'immaginario pop degli anni '80: pensare di rispolverarlo nel 2008 con un cast, Harrison Ford incluso, invecchiato di vent'anni e una storia che tenta stancamente di ricollegarsi al primo capitolo della serie, I predatori dell'arca perduta (1981), non è sufficiente. Troppa la carne al fuoco in una sceneggiatura, basata su un'idea di George Lucas, effettistica e disomogenea: civiltà perdute, alieni, Guerra Fredda, bomba atomica, agnizioni familiari. Massiccia la presenza di effetti speciali digitali, altro elemento che contrasta con lo stile dei primi tre film. Convincono poco la cattiva Cate Blanchett e il giovane erede di Indy, Mutt (Shia LaBoueuf), ispirato al Marlon Brando de Il Selvaggio (1953). Qualche idea interessante, su tutte il ritorno della vecchia fiamma Marion Ravenwood (Karen Allen), ma il fascino dei primi tre film resta ineguagliato.