Joan of Arc
Jeanne
2019
Paese
Francia
Genere
Drammatico
Durata
124 min.
Formato
Colore
Regista
Bruno Dumont
Attori
Lise Leplat Prudhomme
Annick Lavieville
Justine Herbez
Benoit Robail
Fabrice Luchini
Francia, 1429. Mentre infuria la Guerra dei Cento Anni, Giovanna (Lise Leplat Prudhomme) libera la città d’Orléans e cerca di ripetere l’azione con Parigi, ma viene sconfitta e imprigionata dagli inglesi. Per lei si spalancano così le porte del processo a Rouen, dove Giovanna rifiuta di accettare le accuse di stregoneria che pendono sul suo capo e viene pertanto condannata al rogo come eretica. Il regista francese Bruno Dumont, dopo Jeannette: The Childhood of Joan of Arc (2017), continua la sua esplorazione della celebre figura transalpina dedicandole un altro film, più lungo e ambizioso del precedente, nel quale la pulzella d’Orléans ha ancora il volto della medesima, giovanissima attrice nonostante il tempo che è passato. Una scelta di campo molto forte che contribuisce a riproporre Giovanna in quanto forza infantile violenta e riottosa, in grado di scardinare il flusso della Storia del proprio tempo e di sovvertire ogni canone di prevedibilità. Rispetto all’operazione di due anni prima Dumont, che s’ispira all’opera letteraria di Charles Péguy, estingue in parte la dimensione da musical slabbrato e da trip hard rock che caratterizzava il suo esperimento (le musiche stavolta sono di Christophe), per riflettere, in maniera altrettanto provocatoria e grottesca, sull’incendiaria portata mistica di Giovanna d’Arco. Lo fa attraverso una messa in scena prolissa ma di indubbio impatto formale (la sequenza delle truppe a cavallo che si schierano intorno a Giovanna, ripresa in plongée, può ricordare alcune soluzioni di Jacques Rivette), che demistifica e mette alla berlina attraverso gag surreali e inceppamenti comici alcune figure della storia francese del tempo. Il risultato, come speso accade col cinema di questo autore provocatorio e anticonvenzionale, non lascia indifferenti, soprattutto per la notevole dose di spiazzante e corrosivo lirismo musicale ed estetico, ma l’approccio complessivo non manca di risultare allo stesso tempo stucchevole e irritante, a dispetto della notevole tensione verso il divino che vi si respira. Tutta colpa di una pretenziosità liberatoria ma anche masturbatoria che non conosce davvero remore e di un impianto audiovisivo che in più di un’occasione travalica il cinema per farsi ibrido tra installazione video, sberleffo audiovisivo, presa di posizione contro il conformismo di tanto immaginario e le comode gabbie dello spiritualismo più elementare e grossolano. Il lunghissimo processo è girato all’interno della cattedrale di Amiens, mentre il rogo finale, fedelmente alle istanze iconoclaste di Dumont, viene mostrato in campo lungo ed è malapena scorgibile. Piccolo ruolo, ovviamente super grottesco, per Fabrice Luchini. Presentato al Festival di Cannes 2019 nella sezione Un Certain Regard.
Maximal Interjector
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