Nuestro tiempo
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2018
Paesi
Messico, Francia, Germania, Danimarca, Svezia
Genere
Drammatico
Durata
173 min.
Formato
Colore
Regista
Carlos Reygadas
Attori
Carlos Reygadas
Natalia López
Eleazar Reygadas
Rut Reygadas
Phil Burgers
Una famiglia vive nella campagna messicana allevando tori da combattimento. Ester (Natalia López) ha il compito di gestire il ranch, mentre suo marito Juan (Carlos Reygadas), un poeta di fama mondiale, alleva e seleziona le bestie. Quando Esther si infatua di un addestratore di cavalli di nome Phil, la coppia lotta per superare la crisi emotiva. Il regista messicano Carlos Reygadas firma il suo film al contempo più intimo e più ambizioso: uno strambo e anti-convenzionale melodramma familiare perfettamente in linea con gli echi estremi e provocatori della sua carriera, interpretato, in un impeto di auto-fiction estrema, da se stesso e dalla sua vera moglie. Un dispositivo affascinante che consente a Reygadas di firmare il suo lavoro meno gratuito e stantio, graziato da un’enorme padronanza estetica soprattutto nella gestione dei paesaggi e della natura, con le riprese del bestiame e soprattutto delle lotte sanguinose tra tori e altri animali a connotarsi di un evidente e ferino valore allegorico (l’impassibile ferocia della natura che si rispecchia in quella, altrettanto dolorosa, della vita di coppia). Il film possiede un prologo naturalistico e vitale filmato con grande spontaneità, quasi alla Abdellatif Kechiche, in assoluto tra le case più arcane e sensualmente prorompenti e traboccanti che il regista abbia mai girato. Va rilevato, tuttavia, che il tessuto generale dell’operazione, a dir poco fluviale e spinto alla soglia delle tre ore, è contrappuntato da vari momenti vanamente estremi e grotteschi, come se Reygadas cercasse di sganciarsi dal tipo di cinema che l’ha reso beniamino dei festival internazionali ma non riuscisse a staccarsene davvero. Struggente il coté amoroso della vita di coppia, immortalato tra ingenuità immature, fratture malinconiche e grande sincerità che fa capolino soprattutto nell’accettazione del dolore (da urlo il drone accompagnato da un monologo rivelatore e interminabile), anche se il teatrino del tradimento si fa col passare dei minuti più irritante e posticcio, come ad esempio accade in una delle ultime sequenze, buttata alle ortiche tra battutine sul sesso orale e corpi a corpo fuori tempo massimo. Rimane però, al netto di tutti i difetti imputabili e dei compiacimenti stucchevoli sicuramente rintracciabili nella vena estrema del regista, un film profondo e generoso, ora lisergico ora taumaturgico e simile a un palliativo per l’anima più che a una terapia di coppia, che senza la zavorra dell’ego dell’autore sarebbe stato ancor più in grado di colpire nel segno. Reygadas cita se stesso e il suo Battaglia nel cielo (2005) in una scena di sesso allo specchio che si apre a fuoco per poi degenerare nell’assenza di coordinate fisiche dei corpi, replicando il gioco della sequenza pornografica senza stacchi di montaggio che virava sui palazzi di Città del Messico. Reygadas, il suo film, lo spiega semplicemente così, ed è una sintesi fulminante ed efficace: «quando amiamo qualcuno, vogliamo soprattutto lei o il suo benessere? O solo nella misura in cui tale atto implicito di generosità non ci riguarda troppo? In breve: l'amore è un problema relativo?». Presentato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2018.
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