Undici anni dopo Una scomoda verità, film che sulla questione ambientale aveva segnato un’epoca, Al Gore ritorna al tema che più l’ha ossessionato in questi anni e per il quale non ha mai smesso di battersi: il surriscaldamento globale e tutto ciò che di letale esso scatena nell’ecosistema del pianeta Terra. Sequel di Una scomoda verità (2006), che si era aggiudicato 2 Oscar (miglior documentario e miglior canzone originale), questa pellicola conferma pregi ma anche difetti del suo predecessore. Vero e proprio aggiornamento del precedente lavoro, volto a fare il punto sulla questione a più di un decennio di distanza, il film è un’operazione che pone ancora una volta in primissimo piano il suo deus ex machina, Al Gore, la cui presenza è fin troppo invadente e invasiva. La celebrazione dell’ex vicepresidente degli Stati Uniti appare infatti uno degli aspetti portanti del progetto e si ricorre a ogni tipo di artificio retorico per sottolineare gli sforzi diretti di Gore e le sue attività di filantropo da una prospettiva rigorosamente personale. Nondimeno l’argomento è a dieci anni di distanza se possibile anche più scottante e tante sequenze del film, col loro apparato di documentazione e spettacolarizzazione, colpiscono comunque nel segno. Il fantasma dell’elezione di Trump, motore dialettico di questo sequel, aleggia naturalmente sui sogni di Gore come una feroce spada di Damocle, dati i provvedimenti presi da Trump per far uscire gli USA dagli storici accordi di Parigi e la proposta da parte del tycoon di ritirare il Nobel per la Pace assegnato a Gore perché le sue affermazioni non avrebbero solide basi scientifiche. Uno dei momenti più riusciti è tuttavia proprio la visita di Gore al sindaco repubblicano e ultraconservatore della texana Georgetown, che nondimeno è un acceso sostenitore dell’energia rinnovabile e ha fatto della sua città un esempio da seguire.