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Cenere e diamanti, un'analisi
In occasione del webinar dedicato all'Europa dell'est, Letizia Piredda ci ha inviato questa interessantissima recensione su Cenere e diamanti di Andrzej Wajda.

Tra le piattaforme che stanno sorgendo numerose in streaming, sono decisamente in crescita quelle che privilegiano il cinema d’autore. Tra queste Il cinema ritrovato fuori sala su My Movies  non solo permette di spaziare tra capolavori restaurati di diverse epoche e luoghi, ma fornisce anche la presentazione di valenti critici ai singoli film in programmazione. E’ qui che ho visto Cenere e diamanti,1959  di Andrzej Wajda: uno di quegli incontri sorprendenti con un autore molto noto, ma altrettanto poco conosciuto.
Ha qualcosa del noir, qualcosa della Nouvelle Vague, questo film per certi versi realista, per altri allegorico, che però privilegia la Storia, e in particolare la storia postbellica della Polonia, divisa al suo interno tra nazionalismo e regime sovietico.
Il film si focalizza sulle azioni di una coppia di ex-soldati dell’Armia Krajowa [1]  nell’immediato dopoguerra, nei giorni seguenti la resa nazista[2]. Il loro compito è eliminare  un influente comunista polacco.  Ma i veri protagonisti/antagonisti del film sono il partigiano Maciek e il comunista polacco Szczuka:  Wajda li caratterizza con la stessa intensità, appartenenti a sfere ideologiche diverse, ma entrambi polacchi alla ricerca di una possibile rinascita del paese. Maciek, un grande Zbigniew Cybulski, soprannominato il James Dean polacco[3], si muove con forte ambivalenza, tra la causa partigiana, e il desiderio, provocato dall’incontro con Khrystyna, di una vita normale lontana dalle continue battaglie: un eroe antieroe per eccellenza.

                    Khrystyna e Maciek tra le macerie della chiesa bombardata 

La rinascita della Polonia sembra da subito una rinascita malata: basta dare uno sguardo ai personaggi che circondano i protagonisti: sono egoisti, si ubriacano, sfruttano il loro peso politico e le situazioni in cui si trovano per fare carriera.
Ne risulta una Polonia grigiastra dai contorni non definiti che precipita nel buio dentro le ombre: il bianco e nero è qui utilizzato con una forza visiva straordinaria, e sfrutta fumi e vapori per rendere quell’atmosfera di incertezza, di opacità e di ambiguità.

La narrazione sembra rifarsi ai canoni tradizionali, ma poi all’improvviso la linearità narrativa viene interrotta facendo entrare nell’inquadratura qualcosa che ne spezza la coerenza: un cavallo[4], una statua di Cristo capovolta. Il film è disseminato di simbolismi e allegorie come le fiammelle accese sui bicchieri di liquore, a significare i partigiani morti, la morte di Maciek, colpito per errore da un soldato, agonizzante e impotente in mezzo ai rifiuti, a significare la giovinezza perduta: un totale ribaltamento dell'assunto eroico del cinema del realismo socialista. La morte di Maciek 

Il titolo del film è tratto da una poesia di Ciprian Norwid che Maciek e Khrystyna leggeranno su un muro annerito della cappella distrutta dai bombardamenti:

Quando le fiamme ardenti escono da te / Come da una fiaccola / Non puoi sapere se le fiamme avranno libertà o morte / O se tutto quello che ti appartiene sparirà / Se resteranno solo cenere e confusione / O se si troverà sotto la cenere un diamante stellato / La stella mattutina di un’eterna vittoria.


Letizia Piredda
Maximal Interjector
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