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Far East Film Festival 21 - la quarta giornata

Tra visioni distopiche e ultraterrene, a convincere sono i film cinesi.

Il Far East comincia a entrare nel vivo, dopo uno scoppiettante weekend di apertura. È la Cina l’assoluta protagonista della quarta giornata, con due film molto diversi tra loro, entrambi acclamati dal pubblico in sala.

Crossing the Border, opera seconda di Huo Meng, è un film piccolo piccolo, quasi fragile, che sa prendersi i suoi tempi e raccontare con leggerezza il viaggio di un nonno e del nipotino attraverso la Cina. Antichità e modernità, giovinezza e vecchiaia convivono in un’opera che guarda tanto al Kitano di L’estate di Kikujiro quanto al Lynch di Una storia vera. E la morte, naturale conclusione di ciascun viaggio, è liquidata con ironia e curiosità, come solo l’ennesima cosa da conoscere, l’ultima.

Molto diverso il caso di Dying to Survive, il film fenomeno del 2018 cinese, ispirato alla storia vera di un malato di leucemia che riuscì a importare dall’India medicinali anticancerogeni a un prezzo accessibile anche ai pazienti più poveri. Opera nettamente spaccata in due parti, Dying to Survive convince più nella prima metà, in cui si racconta con ironia l’ascesa di un’improbabile banda di “criminali”, che nella seconda, a tratti troppo melensa e con un finale celebrativo e quasi propagandistico. Ma Wen Muye, al primo film, dirige già con sapienza; e per il pubblico è difficile non affezionarsi ai personaggi, a partire dal protagonista – interpretato da uno straordinario Xu Zheng -, il cui percorso di redenzione è tracciato con particolare efficacia.

Basta spostarsi di poco, in Taiwan, per trovare l’ennesimo gioiello della giornata. L’atipico buddy movie The Scoundrels è divertente e adrenalinico e trova nella chimica tra i due protagonisti il maggior punto di forza. Azione e ironia sono gli ingredienti di un’opera che il giovane regista Hung Tzu-hsuan dirige con entusiasmo, meritandosi il lungo applauso del pubblico in sala. Degno di nota anche il primo film filippino in concorso, Heaven’s Waiting, che racconta di due vecchi amanti che si incontrano in Purgatorio e che, riscoperto l’amore, fanno di tutto per ritardare la partenza per il Paradiso. Tratto da una pièce, a volte il film denuncia fin troppo la propria natura teatrale, ma i due protagonisti sono simpatici e la rappresentazione di un oltretomba burocratico e ‘démodé’ fa il paio con quella di After Life di Kore-eda. E, a proposito del maestro nipponico, non convincono i cinque episodi del distopico Ten Years Japan, da lui supervisionato: gli scenari raccontati sono quelli già immaginati in altre opere, e non è un caso che i due cortometraggi più interessanti raccontino di problemi reali (la sovrappopolazione) e onnipresenti paure (la minaccia nucleare).

Dimenticabile, infine, l’action-fantasy Warrior 212, unico film indonesiano in concorso: super produzione – presenta la Fox – in cui fa capolino il maestro di arti marziali Yayan Ruhian, volto noto al pubblico occidentale per il dittico di The Raid.

Appuntamento a oggi, con gli zombie coreani di Rampant e The Odd Family e due nuovi drammi cinesi: The Rib e The Crossing.

 

Marco Lovisato

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