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Far East Film Festival 21, quinta e sesta giornata: già cult gli zombie coreani, lascia il segno Fruit Chan

Il Far East compie il giro di boa, regalando nel frattempo alcuni titoli destinati a diventare i cult della ventunesima edizione. La giornata del 30 aprile continua la linea di film dal forte messaggio sociale inaugurata dal cinese Dying to Survive. Il coreano Default, cronaca della bancarotta che colpì il paese nel 1996, è chiaramente ispirato all’hollywoodiano La grande scommessa, puntando meno sull’ironia e più sull’aspetto drammatico, adottando come punto focale i devastanti effetti della crisi sulla popolazione. Un film solido e teso, impreziosito da un Vincent Cassel particolarmente convincente nel ruolo del direttore del FMI. Diverte senza pretese il giapponese JK Rock, mentre il cinese The Rib, storia di un transgender che lotta per il riconoscimento dei propri diritti e per l’affetto del padre, spreca un ottimo bianco e nero con una storia costruita a tavolino per generare simpatia e che, nonostante l’intento lodevole, scade spesso nel ridicolo involontario. Immancabile il messaggio finale in cui si sottolineano i progressi del governo sul riconoscimento dei diritti della comunità LGBT (anche se rimane una realtà lo stigma sociale e l’omofobia), una costante dei film presentati sotto il cappello del regime.

Di tutt’altra fattura lo splendido The Crossing, opera prima della regista Bai Xue, intenso e sensibile coming-of-age ambientato, simbolicamente, al confine tra Cina e Hong Kong. La giovane protagonista Peipei attraversa questo passaggio quotidianamente, trasportando con sé cellulari di contrabbando per guadagnare qualcosa che le permetta di viaggiare, fuggire verso un luogo in cui sentirsi radicata. Tramite i suoi occhi avvertiamo lo spaesamento e l’alienazione di un non-luogo in perenne cambiamento. Meritatissima, al termine delle proiezione, la prima standing ovation della giornata.

Non solo drammi sociali: la giornata propone anche grande intrattenimento in pieno stile Far East, con due “zombie movie” coreani molto diversi tra loro. Se Rampant fallisce nell’unire horror e film in costume, vanificando i buoni momenti d’azione con un plot poco interessante sui soliti intrecci di corte, The Odd Family: Zombie on Sale è invece un’autentica rivelazione. Commedia horror nella vena de L’alba dei morti dementi, il film dell’esordiente Lee Min-jae riesce a reinventare e rinfrescare entrambi i generi, forte di un cast particolarmente ispirato e di una serie di gag travolgenti e spassose. Incredibile la risposta del pubblico in sala, per un’opera già designata come il cult di quest’edizione. Poche emozioni, invece, per i nottambuli che scelgono di seguire il thriller malesiano Fly By Night, opera superificiale e amatoriale, purtroppo una costante dei film malesi proposti finora.

Il primo maggio si apre invece con due storie di matrimoni in crisi. Nel giapponese Only the Cat Knows la fuga dell’amata gattina apre gli occhi all’anziana Yukiko, che inizia a mettere in dubbio il legame con l’insensibile marito Masaru, mentre nel coreano Romang una coppia cerca di mantenere la propria umanità di fronte allo spettro della demenza senile. Il primo è un film delicato e sensibile, impreziosito dai costanti richiami al cinema giapponese classico, mentre il secondo è melenso e stereotipato, una mosca bianca rispetto ai coreani visti finora, che anche nei risultati meno felici avevano dimostrato una certa cura e personalità.

Dopo la pausa sakè del documentario Kampai: Sake Sisters, sulle imprenditrici femminili del gustoso distillato, si riprende con due film divertenti e ipercinetici. Il coreano Unstoppable è un film d’azione divertente e caciarone, e serve da vetrina per il divo Ma Dong-seok e per i suoi letali cazzotti. A Cool Fish, invece, è il primo cinese a essere presentato senza il logo del governo in apertura, e si sente. Completamente libero da implicazioni politiche, Rao Xiaozhi si concentra sulle avventure di due improbabili ladruncoli, regalando, senza renderla il centro dell’attenzione, una love story delicata tra uno dei due criminali e la ragazza paraplegica che gli offre rifugio. Un film che presenta diversi punti in comune con il cinema del primo Fruit Chan, regista che presenta per la prima volta in Europa Three Husbands, ideale conclusione della “trilogia della prostituzione” iniziata con lo splendido Durian Durian e continuata col surreale Hollywood Hong Kong. Three Husbands, storia di una prostituta insaziabile, è un film squisitamente ferreriano, che spinge sul pedale del grottesco e richiama alla mente sia il cinema di Kim Ki-duk (L’isola) che di Tsai Ming-liang (Il gusto dell’anguria). Se lo sguardo di Chan su Hong Kong è quello impietoso delle sue opere migliori, la struttura ripetitiva del film a un certo punto rischia di far scivolar via l’interesse. La cosa migliore dell’opera è sicuramente l’incredibile performance di Chloe Maayan, presente in sala, che in patria ha fatto incetta di premi e che è stata giustamente applauditissima.

Degno di nota anche il surreale Hard-Core, proposto nel giorno del passaggio di consegne imperiali in Giappone. Dietro alla macchina da presa c’è quel Nobuhiro Yamashita responsabile di cult come Linda Linda Linda, e di fronte l’impassibile maschera di Takayuki Yamada, già attore feticcio di Miike, che qui interpreta uno spiantato cercatore d’oro impegnato nel contempo a fare da padre all’improbabile partner e a soddisfare la propria libido. A complicare la situazione la scoperta di Robo-o, un automa alle prese con i dilemmi etici del proprio protocollo. Divertente e pop, Hard- Core è un’opera tipicamente giapponese, in cui l’assurdità delle situazioni esalta l’umanità dei protagonisti.

La settima giornata si preannuncia all’insegna dell’horror, con i tailandesi Reside e Krasue e il filippino Eerie. Ma l’evento catalizzatore è sicuramente la proiezione del cinese Lost, Found, alla presenza della diva Yao Chen, per l’occasione premiata con il Gelso d’Oro alla carriera.

Marco Lovisato

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