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Far East Film Festival 22 – Il racconto dell'ottava giornata. Divertimento, paura e commozione per un venerdì ricco di sorprese

Un venerdì ricco di sorprese al Far East Film Festival, giunto alla penultima giornata della sua ventiduesima edizione. Quattro i film in concorso, con l'ultima opera del ciclo dedicato a Hirobumi Watanabe a completare il programma.

Cominciamo proprio dal corpulento filmmaker giapponese: il suo Party 'Round the Globe (2018) lo vede al solito anche davanti alla macchina da presa, nei panni di una versione di sé stesso chiacchierona e ossessionata dai Beatles. Protagonista del film è però l'amico taciturno Honda, il quale, come lo stesso Watanabe in Cry, conduce un'esistenza monotona e dalle giornate sempre uguali. Alcuni flashback, inoltre, ci suggeriscono che l'uomo aveva prima una famiglia, mentre ora ha come unico amico il personaggio di Watanabe, che lo coinvolge prima a partecipare a un concerto di Paul McCartney al Tokyo Dome e poi alla festa di compleanno di sua nonna. Qui Honda, finalmente, sembra sciogliersi e sorridere. Party 'Round the Globe si incastra alla perfezione nel mosaico artistico di Watanabe, che apre il film con un prologo a colori composto dai disegni e dalla voce narrante della piccola Riko, bambina che nei suoi film è portatrice di ottimismo e spensieratezza. Un film ricco di speranza, che chiude un bel ciclo dedicato a un autore interessante e padrone dei propri mezzi, nonostante la giovane età.

Tanta varietà nel programma dei film in concorso. Il giapponese Romance Doll diverte e commuove in egual misura, con la regista Yuki Tanada (anche autrice del romanzo da cui il film è tratto) che non ha paura di addentrarsi nel territorio scomodo in cui si incontrano erotismo e morte. Il film si apre con un efficace flash forward, che serve a stabilire il tono malinconico di una storia d'amore, quella tra il costruttore di bambole sessuali Tetsuo e la modella Sonoko, lunga dieci anni e segnata da un'ineluttabile destino. Il film racconta il loro incontro, l'innamoramento, la vita matrimoniale e il progressivo e inevitabile allontanamento. Inevitabile perché entrambi i protagonisti nascondono qualcosa l'uno all'altra; solo la sincerità li può riunire e far soffiare nuovamente in loro il respiro dell'amore. Un sentimento che la regista mette in scena in tutta la sua eterea carnalità, a sottolineare la differenza tra vero affetto, inteso come cura dell'altro, e pallida convenzione matrimoniale. Tanada gestisce bene i diversi registri, sa quando commuovere (in una delle sequenze più forti viste al festival) e quando alleggerire, e regala anche un finale sul mare dal sapore kitaniano che chiude l'opera con un sorriso agrodolce.

Emoziona anche Suk Suk, delicata storia d'amore tra due anziani omosessuali a Hong Kong. Il regista Ray Yeung, coadiuvato da due straordinari interpreti (Tai Bo e Ben Yuen hanno fatto meritatamente incetta di premi in patria e a Taiwan), sceglie un approccio contemplativo ma partecipe, e dà eguale importanza al rapporto tra i due innamorati, all'esplorazione della loro sessualità e agli obblighi che questi hanno con le famiglie che hanno costruito. Hong Kong e la società che ospita rimangono sullo sfondo come presenza dominante e il regista contrasta la vastità della città (accentuata dal formato panoramico) con la ristrettezza e intimità delle sue abitazioni, traducendo formalmente la separazione di pubblico e privato.
Inevitabile cedere al sentimentalismo in qualche passaggio, ma Yeung è bravo a mantenere il film in equilibrio, complice anche una non eccessiva durata e un finale coerente e sospeso.
Tutt'altro tono rispetto ai film del pomeriggio per il coreano Exit, divertente mix di azione e commedia e nuova entrata in una lunga serie di atipici film catastrofici realizzati in Corea. Un'opera che diverte con intelligenza e dice cose non banali sull'ossessione coreana per il lavoro e la carriera. Protagonista infatti è Yong-nam, slacker patito di calisthenics e arrampicata, che viene visto dalla famiglia come eterno lavativo. In occasione dei festeggiamenti per il settantesimo compleanno della madre, Yong-nam incontra Eui-joo, cotta dei tempi del college che ora lavora come vice-manager del locale dove si tiene la festa. A peggiorare la giornata di Yong-nam ci pensa un attacco terroristico che libera una nube di gas tossico per la città. I due atletici giovani dovranno collaborare per salvarsi la vita, in un crescendo di scene d'azione che li porterà a saltare da un edificio all'altro. E Yong-nam avrà finalmente un'occasione per dimostrare il proprio valore e conquistare il cuore di Eui-joo. Lee Sang-geun, qui all'esordio, dirige in maniera virtuosa e si concede il tempo di caratterizzare i personaggi prima di innescare il meccanismo dell'azione. I modelli sembrano essere Edgar Wright e Bong Joon-ho, sia per la commistione di generi, sia per la descrizione dei rapporti familiari. Ma intelligentemente il regista decide di andare per la sua strada, dosando bene l'azione con la commedia sentimentale; e sebbene qualche passaggio richieda un po' troppo dalla sospensione della credibilità, il divertimento vale lo sforzo.

Per una volta non delude l'horror del programma notturno. Il malese Soul, esordio al lungometraggio di Emir Ezwan, fa virtù del proprio ristretto budget, mettendo in scena un'inquietante favola nera e ambientandola in una Malesia rurale e senza tempo. A differenza di molti horror provenienti dal Sud-Est asiatico, Soul predilige l'atmosfera allo spavento facile, e Ezwan non deve sforzarsi troppo per rendere la foresta in cui si svolgono gli eventi un luogo minaccioso e permeato da arcaiche forze del male. La messa in scena è semplice ma curata alla perfezione, le musiche inquietanti al punto giusto e lo scarno cast è bravo nel rendere credibili i personaggi (con un particolare plauso ai bambini). Pochi ingredienti ma ben miscelati: il risultato è il miglior horror visto al FEFF quest'anno e la scarsa competizione nulla toglie ai meriti dell'opera.

Appuntamento a oggi con l'ultima giornata del festival, in cui spiccano ben tre film giapponesi in concorso e un film di chiusura di cui si parla molto bene, il cinese Better Days.

Marco Lovisato

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