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Piccolo Grande Cinema: La recensione di "La mia straordinaria estate con Tess"
La più grande paura del piccolo Sam ha un nome: solitudine. L’angoscia di rimanere solo, sopravvivendo alla morte dei genitori e del fratello, è troppo grande. Così, durante una vacanza su un’isola con la famiglia, decide di stilare un programma di allenamento per abituarsi a rimanere solo. Ma l’incontro con Tess, una ragazzina di grande vitalità, alla ricerca del padre, stravolgerà completamente i suoi piani.

Morte e Vita: i due grandi interrogativi dell’uomo, affrontati da un bambino. La mia straordinaria estate con Tess è solo retorica o c’è di più?

Esordio alla regia per l’olandese Steven Wouterlood, in un film chiaramente destinato a famiglie e ragazzi, ma che sviluppa temi ben più profondi e complessi.  Esemplare la prima scena: un movimento di macchina dal basso verso l’alto, inquadra Sam intento a filosofeggiare sulla solitudine all’interno di una fossa, chiara metafora di una tomba, che si è scavato in spiaggia. Difficile non pensare alla prima scena di Harold e Maud; con le dovute differenze, infatti, i due protagonisti del film degli anni ’70 diretto da Hal Asby, richiamano velatamente gli opposti caratteri dei due piccoli protagonisti de La mia straordinaria estate con Tess, riproponendo l’antitesi tra il coraggio e la paura.

 Centrale nel film, il rapporto tra il protagonista e Tess non è altro che l’incontro tra due necessità: per Sam, quella di superare la paura della solitudine; per Tess, quella di conquistare l’affetto e l’amore di un padre mai conosciuto.

I due hanno bisogni diametralmente opposti e proprio per questo si compensano vicendevolmente, colmano i propri vuoti e combattono le proprie paure. Diventano indispensabili l’uno per l’altra, in un complesso percorso di crescita. Se La mia straordinaria estate con Tess fosse un romanzo dell’800 sarebbe sicuramente un romanzo d’iniziazione.

Ma è alla figura di un pescatore che ha perduto la moglie, che il regista affida la lezione più importante destinata a Sam e allo spettatore. La solitudine è una condizione psicologica e non fisica - ci si può sentire soli anche in mezzo a tanta gente- . L’unico antidoto alla solitudine è “collezionare ricordi” perché le persone che amiamo continuino a vivere nei nostri pensieri.  

Per questo, “vivere” è la risposta che ci propone Wouterlood: fare esperienze, rischiare, non perdersi le occasioni della vita, anche perché, citando Harold e Maud, “se non si gioca, non si sa che raccontare negli spogliatoi.”

Il messaggio è estremamente positivo e adatto alla fascia di pubblico a cui il regista si rivolge.

Il film non regala, però, un finale degno delle aspettative create durante tutto il corso della pellicola. Risulta abbastanza stucchevole e sbrigativo. L’epilogo della storia avrebbe meritato, infatti, un maggiore approfondimento dell’analisi dei personaggi (soprattutto la figura del padre di Tess) nel loro arco evolutivo.

Una speciale menzione, infine, va alle ottime riprese del paesaggio mozzafiato.

 

Giorgio Amadori

 

 
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