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The Hateful Eight secondo Tarantino: "Il mio western tra Le iene, La cosa e Agatha Christie"

Accolto dai calorosi applausi della stampa, Quentin Tarantino ha presentato a Roma il suo ottavo film, The Hateful Eight. Il regista di Pulp Fiction e Bastardi senza gloria è stato accompagnato dagli attori Kurt Russell e Michael Madsen, oltre che dal Maestro Ennio Morricone che ha composto le musiche di The Hateful Eight, prima colonna sonora originale utilizzata in un film di Quentin Tarantino.

Molto casual e come sempre espansivo, Tarantino ha risposto alle domande dei giornalisti con sagacia, affabilità e trasmettendo tutto il suo entusiasmo e il suo amore per il cinema, tratti distintivi che hanno sempre contraddistinto la sua opera e che sono riscontrabili anche in questo suo ultimo lavoro.

La prima domanda cui il regista si trova a rispondere pone proprio The Hateful Eight in relazione con la sua intera filmografia, focalizzandosi sulla costante presenza in tutte le sue pellicole di un personaggio che finge di essere qualcun altro. «Sì, in effetti è vero. Questo è un tema ricorrente dei miei film, quello di avere un personaggio che finge di essere qualcun altro o che nasconde la sua identità dietro una maschera. Posso dire che è un aspetto drammatico che mi piace molto e i miei personaggi sono quasi sempre ottimi attori. Prendete Bastardi senza gloria. Shosanna, ad esempio, finge assai bene ma nonostante questo muore. Aldo Raine, invece, è un pessimo attore, una persona che può essere solo sé stessa, e alla fine sopravvive».

Si passa poi a un’inevitabile riflessione sull’estetica del film, sulla scelta nostalgica di usare il formato 70 mm e di girare in pellicola con tanto di azzardato paragone tra la dicotomia pellicola-digitale e lo scontro tra indiani e cowboy. «Sì, si può dire. Spero solo che alla pellicola vada meglio di quanto non sia andata agli indiani» risponde con cordialità Tarantino che poi sottolinea la dimensione spiccatamente teatrale del suo film costruito «come una piece. La tensione è centellinata e la caratterizzazione dei personaggi più dettagliata. Non puoi ricorrere ai  trucchi con cui acceleri il ritmo come nei film normali».

Curioso siparietto quando un giornalista fa notare a Tarantino delle similitudini tra The Hateful Eight e La cosa di John Carpenter, sottolineando come i due film abbiano due elementi in comune: la presenza di Kurt Russell e la musica di Morricone. Il Maestro, evidentemente, fraintende e si arrabbia con il giornalista, evidenziando come tra le due colonne sonore non ci siano punti di contatto e di come la musica del film di Tarantino sia completamente diversa da tutto ciò da lui scritto in precedenza. Con diplomazia, Tarantino, consapevole che gli animi si sono scaldati per un non nulla, ribatte: «I parallelismi tra i due film sono molti, non solo la musica. La paranoia, per esempio: in entrambi i casi si parla di persone confinate in uno spazio chiuso che non si possono fidare l’una dell’altra, circondati dalla neve e con una presenza oscura che li minaccia. Nel film di Carpenter era un mostro, qui è la tempesta. E poi già per il mio primo film, Le iene, mi sono molto ispirato a La cosa: in questo caso ho cercato di fare una versione western de Le iene, quindi il paragone con il lavoro di Carpenter è giusto e possiamo dire che tra i tre film esiste un forte legame». A chiosa di questo intervento, Kurt Russell ricorda di aver lavorato due volte con Tarantino, due volte in film musicati da Morricone e in cinque occasioni con John Carpenter, considerandosi dunque un ragazzo fortunato.

Incalzato sulla polemica #OscarSoWhite e sulla mancata nomination per la (strepitosa) prova di Samuel L. Jackson, Tarantino ancora una volta se la cava con garbo e accortezza, senza rinunciare a una punta di ironia. «Mi dispiace che Sam non abbia avuto la nomination, perché la meritava. Non dovrei dirlo, ma è quello che penso. Sul boicottaggio…beh,  quest’anno non sono stato candidato, ma se lo fossi stato sarei andato sicuramente alla cerimonia degli Oscar». Un’affermazione che ha il supporto di un divertito Michael Madsen.

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Che film è The Hateful Eight? Un giallo? Un western? Un kammerspiel? Tutte queste cose allo stesso tempo. «Da cinefilo e da regista sono consapevole che non riuscirò mai a fare tutti i film che vorrei fare, quindi quando ne giro uno nuovo cerco di fare cinque film in uno. Ho sempre amato quei film che riuniscono diversi generi e ho sempre cercato di farlo nel mio cinema, con risultati che considererei tutto sommato buoni. Penso di aver un talento nell’unire diversi toni e suggestioni del racconto. È anche vero che spesso e volentieri inizio la scrittura di una sceneggiatura con un preciso disegno in mente e questo si modifica in corso d’opera. A volte pianifico tutto nei dettagli, altre volte improvviso e magari mi accorgo solo a fine scrittura che nel copione sono entrati elementi cui non avevo pensato. Quando ho finito The Hateful Eight mi sono accorto che se all’inizio volevo fare un western e un giallo alla Agatha Christie e poi ho capito di aver realizzato un horror e ne sono stato felice, anche se non ne avevo l’intenzione».

Una delle figure di maggior rilievo del film è il personaggio interpretato da Jennifer Jason Leigh (candidata all’Oscar per la prova), ma il regista ha sempre pensato a una donna per il personaggio del prigioniero? E come mai l’unica donna del film è così perfida e feroce, esattamente come lo sono gli altri nei suoi confronti?

«Ho sempre voluto che il personaggio del prigioniero fosse una donna» spiega Tarantino. «Anche se fosse pesata 150 chili avrei voluto una donna e avrei voluto che fosse così spietata e cattiva. Perché gli altri personaggi si accaniscono contro di lei? Perché è spietata e cattiva! Ma l’accanimento si spiega anche con la scelta del personaggio di Kurt Russell di consegnarla alla giustizia viva, non di ucciderla, ma per fare questo deve fare qualsiasi cosa affinché la donna eviti di scappare o di difendersi. Per questo è così rude, ma si comporta con lei nello stesso modo in cui affronterebbe un altro prigioniero, anche non di sesso femminile».

Ma The Hateful Eight è davvero, come è stato scritto dalla stampa americana (e non solo) il film più politico di Quentin Tarantino? «Non direi. Probabilmente lo erano di più Bastardi senza gloria e Django Unchained. In questo caso lo è diventato strada facendo, poiché i personaggi parlano della guerra civile, si confrontano anche animatamente sui rispettivi punti di vista e mi sono reso conto che i richiami al presente erano numerosi, sia per la distinzione odierna tra stati democratici e stati repubblicani in America, sia per il razzismo della società che emerge e che mi è stato ispirato da alcuni fatti di cronaca».

Ricordiamo che The Hateful Eight uscirà nelle sale italiane il 4 febbraio. A partire dal 29 gennaio, il film di Quentin Tarantino sarà visionabile nel formato in 70 mm presso il cinema Arcadia di Melzo, lo Studio 5 di Cinecittà e il Cinema Lumiere di Bologna.

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