Father Mother Sister Brother

Father Mother Sister Brother

Dove vederlo

In sala - Dal 18/12

Premi Principali

Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2025

Durata

110

Formato

Regista

Nord-est degli Stati Uniti: due figli ormai adulti vanno a trovare il padre (Tom Waits) ormai anziano e, in apparenza, poco capace di badare a se stesso. Dublino: una donna (Charlotte Rampling) ha preparato tutto per l’annuale visita delle figlie per un buon tè del pomeriggio. Parigi: due gemelli cercano di elaborare la recente scomparsa dei genitori a causa di un incidente aereo.

Sentirsi a casa. È questa la sensazione che si può provare davanti a Father Mother Sister Brother, film in cui bastano pochi minuti per trovarsi all’interno di una pellicola di Jim Jarmusch al 100%, un lungometraggio che in apparenza potrebbe fare chiunque e che invece soltanto lui riesce a realizzare. Sei anni dopo il debole I morti non muoiono, il regista americano torna dietro la macchina da presa per un lavoro piccolissimo, produttivamente parlando, eppure in grado di parlare in maniera fortissima di tematiche gigantesche. Solitudine, incomunicabilità e quella grande commedia umana che è la vita vengono analizzate dal genio di Akron con una messinscena ben calibrata, in cui le rime interne tra i vari episodi rimbalzano come in un sonetto che tanto può ricordare il bellissimo Paterson (2016). Non manca la classica ironia del regista in Father Mother Sister Brother, ma il film è soprattutto un canto funebre dei rapporti famigliari odierni, del distacco tra figli e genitori, opposto a una capacità di unirsi che sembra essere possibile soltanto dopo una grave perdita. Molti degli aspetti che Jarmusch tratta li aveva già rappresentati nei suoi film precedenti, rischiando in alcuni momenti la sensazione di già visto, ma questi frammenti vengono poi riscattati da passaggi di grande forza (la semplicità con cui l’attesa di un uber possa trasformarsi in una “tragedia sociale” è disarmante) che compongono una sinfonia audiovisiva elegante, forse non memorabile (l’ultima sequenza non è all’altezza dell’operazione), ma decisamente riuscita. Nei ritratti dei vari personaggi messi in scena si sente un disagio esistenziale che, fatta eccezione per i gemelli dell’ultimo episodio, la vicinanza sembra acuire sempre di più. Figure che ritrovano i loro genitori o le loro case, ma ci stanno soltanto per poco tempo, senza sentirsi a loro agio all’interno di quelle mura. A differenza di noi spettatori, che con questo film ritroviamo tanti aspetti della poetica di Jarmusch (a partire da quella carrellata circolare che chiudeva Broken Flowers e che qui – verso la conclusione – rappresenta un altro vuoto) che hanno reso così grande e unico il suo cinema. Sentendoci, almeno noi, a casa. Il film ha vinto il Leone d'oro all'82esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. 


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