La valle dei sorrisi
Durata
122
Formato
Regista
Remis è un paesino nascosto in una valle isolata tra le montagne. I suoi abitanti sono tutti insolitamente felici. Sembra la destinazione perfetta per il nuovo insegnante di educazione fisica, Sergio Rossetti (Michele Riondino), tormentato da un passato misterioso. Grazie all’incontro con Michela (Romana Maggiora Vergano), la giovane proprietaria della locanda del paese, il professore scopre che dietro quest’apparente serenità si cela un inquietante rituale. Una notte a settimana, gli abitanti si radunano per abbracciare Matteo Corbin (Giulio Feltri), un adolescente capace di assorbire il dolore degli altri. Il tentativo di Sergio di salvare il giovane risveglierà il lato più oscuro di colui che tutti chiamano l’angelo di Remis.
Muovendosi dal desiderio dichiarato di “esplorare l’horror non come semplice dispositivo di tensione, ma come spazio simbolico per raccontare la fragilità dell’identità e il bisogno disperato di appartenenza”, il regista Paolo Strippoli, classe 1993, punta ancora più in alto rispetto al precedente Piove (2022) per inoltrarsi nel territorio di un elevated horror tutto italiano, in cui gli azzardi stilistici sul piano della rappresentazione della tensione sono molteplici e la messa in scena tenta di suggerire inquietudine e tensione lavorando sul turbamento di una serenità che è esclusivamente di facciata e di ordine prettamente simbolico. Rispetto agli esempi statunitensi del genere, cui si guarda frontalmente e cercando di dare loro del tu, l’idea di giocare sui temi della colpa e della redenzione, abbracciando tanto l’identità queer del protagonista quanto un discorso ambiguo e sfaccettato sulla paternità a largo raggio (sia essa di sangue, putativa, ma anche semplicemente spirituale), si scontra con i limiti di una confezione che tende a strafare e a giocare più sull’effettistica e sulle atmosfere che su una reale adesione a un orrore di provincia e spaventosamente a misura d’uomo, oltre che virato in una chiave prettamente teen e affine allo spirito di un macabro e iconoclasta coming of age. Se in Piove l’incubo familiare era assolutamente centrato e anche le figure di contorno, oltre alle singole idee visive, restituivano un’angoscia profonda, di matrice tanto spirituale quanto visiva e sensoriale, ne La valle dei sorrisi la sensazione è che il lavoro di maniera nel cercare di fare il verso alle produzioni analoghe (statunitensi, in particolare) abbia un po’ tarpato le ali a un’operazione che poteva essere ben più significativa e che si distingue comunque come un lodevole esperimento imperfetto ma non trascurabile, specie in un orizzonte industriale e di sistema come quello italiano, ormai poco incline a coltivare il cinema di genere in maniera seria e politica, attuale e strutturata. In palla il cast, con un’ottima direzione d’attori e dei volti tutti azzeccati e ben scelti nel restituire dolori e ferite profonde, dai nomi più noti del nostro cinema fino alle figure più giovani e di contorno, mentre la tendenza a esagerare sul piano formale e a perdere di vista il focus socio-antropologico della vicenda si riscontra anche in un epilogo che tende a non capitalizzare a dovere quanto disseminato in precedenza, a lasciarsi prendere troppo la mano e a inanellare anche troppi “finali” uno dietro l’altro. Il titolo internazionale, The Holy Boy, avalla una lettura maggiormente religiosa della parabola narrata, con più di un rimando anche ai concetti di colpa e redenzione e alla nozione evangelica dell’agnello sacrificale (un po’ come ne Il miglio verde di Frank Darabont, tratto da Stephen King), ma la sensazione è il tessuto delle immagini non abbia spalle larghe a sufficienza per portare a compimento tutte le letture metaforiche che si vorrebbero evocare, o quantomeno o, suggerire. Scritto dallo stesso regista con Jacopo Del Giudice e Milo Tissone. Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2025.