Da un piccolo villaggio della Russia una donna (Vasilina Makovtseva) decide di mettersi in viaggio verso la prigione dove è detenuto il marito per cercare di risolvere un cavillo burocratico. Il tragitto però sarò pieno di spiacevoli imprevisti e incontri poco raccomandabili. A solo un anno di distanza dal precedente Austerlitz (2016), il regista ucraino Sergei Loznitsa si cimenta con un film di finzione fluviale per restituire la radiografia di un Paese in netta crisi morale e identitaria. Tratto da La mite, racconto di Dostoevskij, il film illustra il viaggio della protagonista come un vero e proprio calvario all'interno della Russia più cinica e cruda, abitata da criminali, prostitute e forze dell'ordine corrotte all'inverosimile. Un cammino (di formazione?) lungo il quale il personaggio principale (una donna senza nome che rappresenta un qualunque cittadino del grande stato europeo) incapperà in grottesche caricature di quelli che il cineasta crede essere i principali avversari di una crescita nazionale compatta e unitaria. Se quindi, alla base, A Gentle Creature ha tutte le carte in regola per suscitare curiosità e interesse, è proprio nei singoli tasselli costruiti minuziosamente dal regista che il progetto sembra mostrare il suo lato più debole. Le inquadrature studiare da Loznitsa denotano infatti una buona maestria tecnica e una solidità di messa in scena invidiabile, ma a lungo andare il film si avvale di ridondanti situazione tragicomiche, che non solo gonfiano il minutaggio in maniera ingiustificata, ma soprattutto finiscono per risultare meno incisive e profonde di quanto dovrebbero. Peccato inoltre per la parentesi finale dove, probabilmente per paura di non farsi comprendere fino in fondo, l'autore si lascia tentare da una metafora esplicita di cui non si sentiva il bisogno. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2017.