Storia vera di Franz Jägerstätter (August Diehl), contadino austriaco e obiettore di coscienza, che venne arrestato, e in seguito ucciso, per essersi rifiutato di arruolarsi nell’esercito nazista.
Dopo diversi progetti che puntavano più sulle sensazioni audiovisive che su un copione vero e proprio (basta ricordare Knight of Cups del 2015 o Song to Song del 2017), Terrence Malick torna a un cinema maggiormente narrativo, puntando sulla biografia di un personaggio importante per la sua forza pacifista, addirittura beatificato da Papa Benedetto XVI nel 2007. Altro aspetto rilevante nel percorso del regista texano, è il ritorno al cinema di guerra (seppur, in questo caso, sia una battaglia personale di un uomo contro un mondo che segue un’altra direzione) ventun anni dopo lo straordinario La sottile linea rossa (1998), film con cui questa nuova opera ha però a che fare soltanto debolmente. A partire da una prima parte in cui si concentra sul rapporto tra i personaggi principali e l’ambiente naturale, si ritrovano tanti argomenti tipici del cinema di Malick, in particolare il tema spirituale e un sentimentalismo esistenziale molto presente nei suoi lavori più recenti. Il regista ha chiaro cosa dire e la storia incuriosisce, ma il limite di una durata davvero spropositata per ciò che viene raccontato è troppo evidente: diverse le sequenze ridondanti in queste (quasi) tre ore senza dubbio prolisse e non necessarie rispetto a ciò che viene messo in scena. A tratti il film riesce anche a emozionare, e la fotografia panoramica ha grande fascino, ma il rischio di non riuscire a coinvolgere e di non riuscire a incidere fino in fondo, è decisamente alto. Il risultato è un’opera più interessante delle immediatamente precedenti firmate da Malick, ma molto lontana dai livelli a cui l’autore ci ha abituato nei suoi lavori migliori. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2019.