A mosca cieca
1966
Paese
Italia
Genere
Sperimentale
Durata
63 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Romano Scavolini
Attori
Carlo Cecchi
Laura Troschel
Joseph Valdambrini
Ciro Moglioni
Roma. Un uomo gesticola e gioca con un amico, ha una relazione conflittuale con una donna sposata, trova una pistola, e, vagando per la città e la sua ondivaga quanto anonima folla, comincia a fantasticare contro chi utilizzarla. Alla fine il bersaglio sarà forse tanto casuale quanto la stessa vita.
Tra gli oggetti più inclassificabili e coraggiosamente sperimentali della storia del cinema italiano, il film di Scavolini spiazza per il sovvertimento assoluto del linguaggio cinematografico. Trama ridotta all'osso, correlazione tra immagini e suono straniante, ripetizioni, macchina a mano traballante alternata a quadri in cui il bellissimo bianco e nero esalta le ombre e i corpi plastici degli individui, zoom e primi piani intensi, veloci movimenti laterali, squarci di fumetto, partite di pallone. Una frammentazione del racconto e delle immagini - in cui compaiono simboli e didascalie - memore della nouvelle vague: in special modo Godard (cui il film fa anche esplicito omaggio: vedi come Seberg e Belmondo sono omaggiati nel momento in cui la coppia passeggia tra le vie alberate) che non a caso fu ammiratore della pellicola e di cui il film sembra un'esasperazione della disperazione poetico/politico-esistenziale . Di fatto, contrariamente a possibili apparenze, il film trova la sua forza maggiore nella perfetta alchimia tra forma e contenuto: nonostante la sensazione generale sia di un certo autocompiacimento, raramente al cinema il Caos del mondo interiore del protagonista è stato riflesso in un mondo circostante così preciso ma altrettanto caotico. E allo stesso tempo il caos esteriore stride col vuoto interiore, pur essendone specchio. Film maledetto se ce ne fosse uno: massacrato dalla censura, tagliato e, anche dopo, negato del visto (è stato recuperato nella sua interezza solo nel 2017 dalla Cineteca nazionale, ma è ancora quasi sconosciuto e difficilmente reperibile) il film dava fastidio probabilmente per il nichilismo destabilizzante del suo contenuto (e quindi.. anche della forma). Inizialmente doveva durare 6 ore (!)
Tra gli oggetti più inclassificabili e coraggiosamente sperimentali della storia del cinema italiano, il film di Scavolini spiazza per il sovvertimento assoluto del linguaggio cinematografico. Trama ridotta all'osso, correlazione tra immagini e suono straniante, ripetizioni, macchina a mano traballante alternata a quadri in cui il bellissimo bianco e nero esalta le ombre e i corpi plastici degli individui, zoom e primi piani intensi, veloci movimenti laterali, squarci di fumetto, partite di pallone. Una frammentazione del racconto e delle immagini - in cui compaiono simboli e didascalie - memore della nouvelle vague: in special modo Godard (cui il film fa anche esplicito omaggio: vedi come Seberg e Belmondo sono omaggiati nel momento in cui la coppia passeggia tra le vie alberate) che non a caso fu ammiratore della pellicola e di cui il film sembra un'esasperazione della disperazione poetico/politico-esistenziale . Di fatto, contrariamente a possibili apparenze, il film trova la sua forza maggiore nella perfetta alchimia tra forma e contenuto: nonostante la sensazione generale sia di un certo autocompiacimento, raramente al cinema il Caos del mondo interiore del protagonista è stato riflesso in un mondo circostante così preciso ma altrettanto caotico. E allo stesso tempo il caos esteriore stride col vuoto interiore, pur essendone specchio. Film maledetto se ce ne fosse uno: massacrato dalla censura, tagliato e, anche dopo, negato del visto (è stato recuperato nella sua interezza solo nel 2017 dalla Cineteca nazionale, ma è ancora quasi sconosciuto e difficilmente reperibile) il film dava fastidio probabilmente per il nichilismo destabilizzante del suo contenuto (e quindi.. anche della forma). Inizialmente doveva durare 6 ore (!)
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