L'orribile e spietato usuraio Geremia de' Geremei (Giacomo Rizzo) vive nello squallore, con l'anziana madre (Claria Bindi) allettata: temuto e disprezzato da tutto il paese, ha come unico amico il cowboy Gino (Fabrizio Bentivoglio). Quando il padre della bella Rosalba (Laura Chiatti) chiederà il suo aiuto per finanziare le nozze della figlia, Geremia si troverà per la prima volta nella vita a provare dei forti sentimenti. Sarà l'inizio della fine.
Fin dalla primissima inquadratura (il volto sofferente di una suora velata, con un grosso crocifisso di legno appeso al collo, completamente sepolta nella sabbia di una spiaggia desolata), L'amico di famiglia preannuncia la sua appartenenza a un immaginario spiccatamente grottesco, che trova il suo principale rappresentante nella figura sgraziata e ripugnante del protagonista. Circondato da un'umanità altrettanto sgradevole e disperata (la madre malata, la grassa prostituta Amanda, i due inquietanti gemelli del recupero crediti), Geremia è la star di un universo marcescente e senza speranza che, come il Di Girolamo de Le conseguenze dell'amore (2004), viene condannato a scontrarsi con la bellezza del sentimento e a soccomberne. Struggente e ambivalente, la pellicola costringe lo spettatore a fare i conti con la pietas che viene naturale provare per il disgustoso usuraio e il contemporaneo ribrezzo che il suo aspetto, i suoi modi untuosi e la sua indifferenza nei confronti delle tragedie su cui specula, suscitano. Larger than life e allo stesso tempo dolorosamente reale, L'amico di famiglia, con il suo campionario di miserie ritratte in modo iconico, quasi fumettistico, è un lancinante lamento di solitudine, davanti alla quale capitolano e si perdono anche i più duri tra gli uomini. Purtroppo, c'è da annoverare un calo di ritmo nella seconda parte ma gli spunti restano molteplici e così anche i guizzi registici. Grande performance di Rizzo nei panni di Geremia, supportato da un ottimo, benché silenzioso, Bentivoglio. Come sempre nel cinema di Sorrentino, da segnalare una curatissima colonna sonora tra i cui brani spiccano Anthony and the Johnsons con la struggente My lady stoy. Fotografia, torbida come le atmosfere che ricrea, di Luca Bigazzi.