L'anno scorso a Marienbad
L'année dernière à Marienbad
1961
Paesi
Francia, Italia
Genere
Drammatico
Durata
94 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Alain Resnais
Attori
Delphine Seyrig
Giorgio Albertazzi
Sacha Pitoëff
Françoise Bertin
Luce Garcia-Ville
Héléna Kornel
Un uomo (Giorgio Albertazzi) prova a convincere una donna (Delphine Seyrig) di averla già incontrata, lo scorso anno, nello stesso albergo di Marienbad in cui sono attualmente ospiti. Lei però non si ricorda, e gli affanni dell'uomo non servono a nulla.
Dopo aver esordito nel cinema di finzione con il capolavoro Hiroshima mon amour (1959), Alain Resnais prosegue nella sua personale rivoluzione del linguaggio della settima arte, portando le sue sperimentazioni a un livello ancor più alto e complesso. L'albergo di Marienbad – non a caso un hotel-labirinto – è l'unico punto di appoggio concreto di un percorso narrativo che si muove tra diversi passaggi temporali e, perfino, spaziali. Con un taglio di forte impronta modernista, Resnais mescola fantasia, sogno e realtà, in un racconto dai toni ambigui che vede protagonisti tre personaggi contrassegnati da una lettera, simbolo della loro confusione identitaria: lei è A (Seyrig), il marito è M (Sacha Pitoëff), ma la vera incognita è X (Albertazzi), io narrante e ospite indesiderato che si mette in mezzo alla coppia sposata. E, allo stesso modo, il tempo di cui parla è un'altra incognita come lui: quell'“anno scorso” è un tempo indefinito, che può rappresentare tutti gli anni passati e, forse, anche quelli a venire. Attraversato da vertigini metafisiche, il film si contorce su se stesso, sempre più intrigante e ricco di fascino con il passare dei minuti. La sceneggiatura e i dialoghi di Alain Robbe-Grillet (massimo teorico del Nouveau Roman), ispirati al romanzo L'invenzione di Morel di Adolfo Bioy Casares, vengono riletti a proprio piacimento dalla cinepresa del regista, che incessante cerca di svelare il mistero che si annida in quel luogo, in quelle statue e in quel giardino, così come fece con la pittura di Van Gogh in un suo bel corto documentario del 1948. Per cogliere la portata di una messinscena tanto colta, elegante e raffinata, basterebbero i primissimi, memorabili, minuti, dove Resnais sembra proiettarci in un'altra dimensione mostrandoci (semplicemente?) le pareti, gli stucchi e i tappeti di «questo albergo immenso, lussuoso, barocco, lugubre, dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi». Splendida fotografia di Sacha Vierny. Vincitore del Leone d'oro alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia del 1961.
Dopo aver esordito nel cinema di finzione con il capolavoro Hiroshima mon amour (1959), Alain Resnais prosegue nella sua personale rivoluzione del linguaggio della settima arte, portando le sue sperimentazioni a un livello ancor più alto e complesso. L'albergo di Marienbad – non a caso un hotel-labirinto – è l'unico punto di appoggio concreto di un percorso narrativo che si muove tra diversi passaggi temporali e, perfino, spaziali. Con un taglio di forte impronta modernista, Resnais mescola fantasia, sogno e realtà, in un racconto dai toni ambigui che vede protagonisti tre personaggi contrassegnati da una lettera, simbolo della loro confusione identitaria: lei è A (Seyrig), il marito è M (Sacha Pitoëff), ma la vera incognita è X (Albertazzi), io narrante e ospite indesiderato che si mette in mezzo alla coppia sposata. E, allo stesso modo, il tempo di cui parla è un'altra incognita come lui: quell'“anno scorso” è un tempo indefinito, che può rappresentare tutti gli anni passati e, forse, anche quelli a venire. Attraversato da vertigini metafisiche, il film si contorce su se stesso, sempre più intrigante e ricco di fascino con il passare dei minuti. La sceneggiatura e i dialoghi di Alain Robbe-Grillet (massimo teorico del Nouveau Roman), ispirati al romanzo L'invenzione di Morel di Adolfo Bioy Casares, vengono riletti a proprio piacimento dalla cinepresa del regista, che incessante cerca di svelare il mistero che si annida in quel luogo, in quelle statue e in quel giardino, così come fece con la pittura di Van Gogh in un suo bel corto documentario del 1948. Per cogliere la portata di una messinscena tanto colta, elegante e raffinata, basterebbero i primissimi, memorabili, minuti, dove Resnais sembra proiettarci in un'altra dimensione mostrandoci (semplicemente?) le pareti, gli stucchi e i tappeti di «questo albergo immenso, lussuoso, barocco, lugubre, dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi». Splendida fotografia di Sacha Vierny. Vincitore del Leone d'oro alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia del 1961.
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