Arirang
Arirang
2011
Paese
Corea del Sud
Generi
Documentario, Drammatico
Durata
100 min.
Formato
Colore
Regista
Kim Ki-duk
Attore
Kim Ki-duk
Kim Ki-duk filma se stesso: in seguito all'incidente avvenuto sul set di Dream (2008), in cui la protagonista ha rischiato di morire impiccata, il regista coreano attraversa una profonda crisi che gli impedisce di girare per ben tre anni. All'apice dell'eremitaggio auto-indotto, decide di esternare tutti i suoi tormenti e le sue riflessioni, sfogandosi contro se stesso, contro i propri demoni e contro chi non ha creduto in lui.
Più che a una ricerca di ascetismo, Arirang sembra aspirare a un tentativo di isolamento fisico e mentale: Kim Ki-duk, nella catapecchia in cui si ritira, tiene con sé gli strumenti “fondamentali” della modernità (automobile, televisore, computer), ma si allontana dal mondo, osservando la natura, cantando e mangiando, urlando il proprio dolore e specchiandosi sulla superficie delle proprie ambizioni. Se da un lato non si può parlare di documentario in senso stretto (anche per gli artifici di montaggio e di costruzione delle sequenze, su tutte il botta e risposta con la sua ombra), va altresì considerato il portato auto-analitico dell'opera: il protagonista si confessa e chiede aiuto, esprime opinioni ben definite sul senso dell'esistenza («La vita per me è sadismo, masochismo e tortura verso se stessi») e definisce le coordinate di una carriera “schizofrenica”, da sempre oscillante fra la consacrazione nei festival mondiali e la scarsissima considerazione in patria. Una celebrazione distruttiva spudoratamente narcisista, al contempo straordinariamente sincera e dichiaratamente fasulla, falsificata dal medesimo demiurgo che la mette in scena. Toccante e, a suo modo, fondamentale: da vedere. Premio Un Certain Regard al Festival di Cannes, ex aequo con Halt auf freier Strecke (2011) di Andreas Dresen. Il titolo fa riferimento all'omonima canzone popolare folk coreana, divenuta nel 2012 patrimonio orale e immateriale dell'umanità tutelato dall'UNESCO.
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