Una bambola Daruma, dopo aver fatto saltare in aria la testa a un professore, trascina degli studenti dentro giochi terribili in cui il confine tra la vita e la morte è sottilissimo. Il percorso è articolato in stazioni a ciascuna delle quali corrisponde una prova di sopravvivenza. Solo in pochi riescono a sottrarsi alla carneficina, i quali vengono considerati figli del divino. L'ennesimo film di Takashi Miike (regista di quasi 100 pellicole in 20 anni), presentato anch'esso nella cornice del Festival di Roma come molti altri suoi lavori, è un gioco al massacro totalmente ironico e fuori di testa da sembrare una versione satirica dei popolari Hunge Games riletti per l'occasione dalla genialità estrema dell'autore nipponico. Un'opera che mira allo sberleffo, all'irrisione, a sottoporre a uno shock inevitabile i palati più delicati e perbenisti, e a elettrizzare ancora una volta i tanti affezionatissimi fan del regista, grazie a una messa in scena piena di divertimento sanguinolento, effetti speciali, rompicapi e prove tanto sadiche quanto gustose. Miike si conferma, pur nella matrice sempre più ombelicale del suo cinema, abile nell'invogliare lo spettatore a sospendere il proprio senso di colpa al cospetto delle efferatezze, e a congelare il proprio giudizio morale dinanzi al libero esercizio della violenza, che si fa sfacciata e disinibita, sia essa votata all'analisi nerissima delle pulsioni dell'animo umano o, come in questo caso, alla parodia più fracassona. Al Festival di Roma del 2014 il regista è stato premiato anche col Maverick Director Award per l'insieme della sua opera e il coraggio spericolato che da sempre la anima.