Il critico Tatti Sanguineti si mette sulle orme di Franco Maresco, del quale non ha più notizie ma che vorrebbe riuscire a rintracciare. Il regista, da anni in lotta con una depressione piuttosto acuta, a quanto pare si è perso nel mare magnum di un film non realizzato sul rapporto tra Silvio Berlusconi e la Sicilia.

Sembrava proprio destinato a non portare a termine questo progetto, Franco Maresco. Il film pareva infatti essere lì per lì per smarrirsi definitivamente tra i fantasmi privati del suo autore, sormontato dal peso dell'immaginario (post?) berlusconiano e dalla difficoltà di districarsi al suo interno. Invece, un po' a sorpresa, Maresco il film l'ha finito, ed è impossibile non rilevare come il viaggio produttivo dell'opera abbia influito in modo decisivo sul risultato finale, orientandone gli equilibri drammaturgici e le linee narrative che si dibattono al suo interno. Belluscone. Una storia siciliana è, infatti, un documentario incredibilmente narrato, in cui il regista del nostro cinema più vicino a Don Chisciotte, riesce con grande e resistente lucidità a rimanere ancorato agli echi del suo cinema in coppia con Daniele Ciprì: un cinema della deformità antropologica, delle contraddizioni e delle bassezze di una fetta di umanità cialtrona e ridicola che viene assolutizzata come la parte più decisiva (ma anche, forse, la più tenera e la più innocua) di un mondo irrecuperabile. Il Maresco di oggi, orgoglioso cantore di un cinema personale e sovversivo, ancora libero di essere delirante e pericoloso nel suo parlare di un particolare per arrivare al generale, è un cineasta forse meno radicale del passato (alcuni momenti del film lo confermano) ma non meno illuminante. L'irruzione di Matteo Renzi nel film, apparizione fugace in una marea di perdenti e cialtroni, è in questo senso un atto di assoluta coerenza.