Una coppia di autori cinematografici (Tim Roth e Vicky Krieps) è in cerca di ispirazione per il proprio lavoro. Fiduciosi di trovarla in un posto speciale, la coppia si ritira per l'estate sull'isola tanto cara al grande regista del cinema svedese Ingmar Bergman. Giunti a Fårö, i due provano ad abbozzare qualche idea immersi nella natura selvaggia del posto. 

Arrivata al suo settimo lungometraggio, Mia Hansen-Løve cerca di firmare il film della sua definitiva maturità, partendo da un’ambizione forse mai avuta nel suo cinema precedente. Alla base c’è proprio l’idea di realizzare un lungometraggio bergmaniano, toccando i temi principali dell’immortale autore scandinavo: le dinamiche della vita di coppia sono state analizzate da Bergman diverse volte nel corso della sua carriera, così come il rapporto tra realtà e finzione e la relazione tra gli uomini e l’ambiente che li circonda (l’isola di Fårö, in particolare). Tutti spunti che tornano all’interno di Sull'isola di Bergman in maniera piuttosto interessante, a partire dal discorso metacinematografico che si avvicina anche decisamente al cinema di Woody Allen, altro autore che ha fatto dei collegamenti con Bergman una delle basi del suo cinema. Grazie all’ironia messa in campo si riescono a nascondere alcuni difetti di troppo di un film che soffre di una certa ridondanza e a cui manca la zampata decisiva per creare sequenze realmente degne di nota, seppur il disegno d’insieme regga alla distanza. Qualche guizzo in più non avrebbe guastato, ma lo scenario intimo e delicato del film riesce a interessare e anche gli attori fanno discretamente bene il loro dovere. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2021.