Solange (Florence Vignon) è una vigilessa urbana della piccola cittadina di provincia dove vive con il marito Patrick (Antoine Chappey). I due conducono una vita ordinaria, medio-borghese, dedita al lavoro e alla realizzazione di una nuova casetta su cui l’uomo sta investendo molto in termini di tempo e denaro. Un giorno, torna in città Mylène (Mathilde Seigner), amica d’infanzia di Solange, che ora ha acquisito una certa notorietà nel mondo della televisione. Esordio nel lungometraggio di Stéphane Brizé, sceneggiato insieme a Florence Vignon (anche attrice protagonista), Le bleu des villes comprende già diversi temi che il regista francese avrà modo di trattare in maniera più compiuta nei suoi film successivi. Apprezzabile come Brizé guardi con dolcezza e tenerezza i propri personaggi, quasi mai attribuendo loro ruoli archetipici, ma trattandoli per quello che sono, ovvero colorati e variegati tasselli di un infinito mosaico umano. Azzeccata la descrizione della genuinità tutta provinciale che fa da contraltare alle relazioni che invece caratterizzano l’arrivo di Solange a Parigi. L’amore incondizionato che il marito Patrick le riserva non risulta mai patetico o soffocante, anche nelle scene più accese; il mito della “casa nuova” come punto d’arrivo, come nido d’amore da arredare e colorare insieme, è per la protagonista un punto di partenza, motivo di fuga da una trappola sentimentale e sociale dalla quale teme di non potersi più liberare. L’ingenuità di Solange sarà il motore di tutta la narrazione del film di Brizé, nella cui filmografia non c’è quasi mai spazio per i sogni, nonostante rimanga lo stesso la libertà di sognare: il paradosso che più di qualsiasi altra cosa riesce a descrivere un cinema fatto di sentimenti, non di psicanalisi, di persone, non di personaggi. Presentato alla Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes.