Anni Cinquanta. Lester Ballard (Scott Haze) vive ai margini della società tra le montagne del Tennessee. L'unica preoccupazione è la difesa della sua proprietà: privato di quest'ultima, scivola progressivamente nella pazzia, commettendo dapprima piccoli crimini, poi diventando a tutti gli effetti un cavernicolo dedito alla necrofilia e all'omicidio. Per cercare di stanarlo, si attiveranno lo sceriffo Fate (Tim Blake Nelson) e il suo vice Cotton (Jim Parrack). Dopo aver trasposto un difficile testo di William Faulkner (As I Lay Dying), James Franco sfida la prosa diretta e asciutta di Cormac McCarthy, adattando il suo omonimo capolavoro letterario. In un progetto ancor più ambizioso del precedente, Franco arriva a costruire una narrazione scarna fino alla rarefazione: la sua è una ricerca costante e aderente a una certa estetica che punta ad analizzare le crepe dell'animo umano, l'anormalità pronta a esplodere in ognuno dei “figli di Dio” e il fardello che ogni persona si porta dentro. Quella di Lester Ballard è una discesa repentina e senza speranza verso la parte più oscura dell'animo umano e la sua condizione di emarginato viene estremizzata per assumere la funzione archetipa che non può generare altro che orrore. La prosa di McCarthy rimane, forse, ancora intraducibile per il mezzo cinematografico e la rappresentazione filmica risente di un ritmo eccessivamente contemplativo e di logoranti tempi morti; ma le suggestioni, le denunce e i moniti rimangono impressi grazie anche all'interpretazione di uno Scott Haze in stato di grazia. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.