In una sperduta villa nel nord-ovest dell’Argentina, i membri di una ricca famiglia trascorrono stancamente le loro vacanze. Genitori e figli si trascinano tra il letto e la piscina, disinteressati a quanto sta accadendo attorno a loro. Opera prima di Lucrecia Martel, La ciénaga è una pellicola che fin dal titolo esplicita perfettamente ciò di cui sta parlando: una palude, in cui i protagonisti sguazzano concretamente e simbolicamente, impantanati in una situazione da cui non riescono a liberarsi (e forse neanche lo vogliono). L’immobilismo della classe borghese argentina (negli anni del default economico) è rappresentato in maniera incisiva fin dalle prime inquadrature, quando nelle battute iniziali una donna (Graciela Borges) cade ubriaca vicino al bordo della piscina, mentre tutti gli altri rimangono impassibili, senza aiutarla, fino a quando sarà la domestica a prestarle soccorso. Piccole microstorie personali danno vita a un mosaico di una drammaticità devastante, in cui non sono esenti stoccate all’universo mediatico (l’apparizione della Madonna che fa da sfondo televisivo alla vicenda) e, naturalmente, all’istituzione famigliare. A tratti la regista esordiente gira un po’ a vuoto, anche a causa di un andamento spesso ridondante, ma i simbolismi messi in campo sono efficaci, a partire dal contrasto inerente all’elemento dell’acqua, che può essere sia simbolo di purezza che di contaminazione (si veda la scena in cui una ragazza sta facendosi la doccia). Essenziale al punto giusto anche dal punto di vista stilistico, è a ogni modo un’opera prima coraggiosa e che non scade in alcuna furbizia narrativa. Vincitore di diversi premi in numerose kermesse internazionali, dal Sundance Film Festival alla Berlinale, dove ha ottenuto il prestigioso Alfred Bauer Award.