City Hall
City Hall
2020
Paese
Usa
Genere
Documentario
Durata
272 min.
Formato
Colore
Regista
Frederick Wiseman
Il Sindaco di Boston, Marty Walsh, si occupa in prima persona dei problemi della sicurezza della sua città: dei vigili del fuoco, della sanità, dei veterani, degli anziani, dei parcheggi. L’amministrazione comunale permea ogni aspetto della vita dei cittadini bostoniani, anche quelli che loro stessi sono soliti dare per scontati.
L’infaticabile Frederick Wiseman porta avanti la sua incessante ricognizione sulle istituzioni alla base della società americana con un documentario ambientato nella sua città natale, Boston. Tale scelta ha il sapore del rendez-vous definitivo con quanto di più prossimo alla vita civica del cineasta e, allo stesso tempo, somiglia al compimento dei valori formali e morali e dello stile irreprensibile che ha caratterizzato la sua invidiabile e longeva carriera dietro la macchina da presa, nel corso della quale Wiseman ha documentato praticamente quasi tutto il filmabile. City Hall (il titolo allude al municipio di Boston) è il punto d’approdo di tale galassia cinematografica da consegnare alla posterità e il regista, dopo Monrovia, Indiana, allarga il raggio d’azione della sua indagine facendo seguire a un focus suburbano molto piccolo uno urbano ben più vasto. Wiseman di fatto ci porta per mano in quasi tutti i luoghi e distretti di Boston, guidato dal proposito di illustrare quanto il governo della cosa pubblica sia necessario a una vita collettiva soddisfacente ed efficiente. Tale volontà, così enunciata, potrebbe suggerire una dose di retorica che però in Wiseman, come di consueto, è del tutto assente: nel suo lungometraggio a contare sono come sempre i nuclei spaziali e concettuali nei quali si inanellano dati, percentuali, moniti diplomatici e politici, riflessioni su diseguaglianze identitarie, razziali e di genere, con uno sguardo lucido e propulsivo alla contemporaneità. Wiseman in City Hall caldeggia, forse per la prima volta, la prospettiva di un “protagonista”, ovvero il primo cittadino bostoniano, ma tale adesione non comporta lo smarrimento di quella curiosità dialettica e problematica di cui egli è avido esploratore. City Hall è un film, per citare uno dei tanti interventi del documentario, fatto di “tappe, spazi sociali, luoghi di vita, punti di rifornimento”, frase che potrebbe di per sé sintetizzare lo slancio cinematografico dell’autore e la sua idea di militanza onnicomprensiva. Maiuscola anche la messa a punto etnografica delle diverse identità culturali della città, e le lungaggini del blocco centrale, in particolare sul fronte dei veterani americani e della comunità cinese, non inficiano un prodotto che, oltre alla magnetica parata di volti ed edifici che raccontano mille e più storie, concede anche singole sequenze muscolari e icastiche che giocano sul gigantismo, come quelle degli enormi materassi abbandonati triturati dai camion dell’immondizia e quella finale che allude, eloquentemente, alla necessità di tagliare i rami secchi a tutti i livelli. La sensazione generale, alla luce del finale e della scena, solo in apparenza casuale, con al centro un uomo divorziato che vive in condizioni fatiscenti, è anche quella di un afflato umanista che altrove il regista aveva scelto di tenere più a freno. Presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2020, dove Wiseman, assente, ha inviato un videomessaggio in cui definisce gli amministratori pubblici mostrati nel film come «un esempio di tutto ciò che Donald Trump non è».
L’infaticabile Frederick Wiseman porta avanti la sua incessante ricognizione sulle istituzioni alla base della società americana con un documentario ambientato nella sua città natale, Boston. Tale scelta ha il sapore del rendez-vous definitivo con quanto di più prossimo alla vita civica del cineasta e, allo stesso tempo, somiglia al compimento dei valori formali e morali e dello stile irreprensibile che ha caratterizzato la sua invidiabile e longeva carriera dietro la macchina da presa, nel corso della quale Wiseman ha documentato praticamente quasi tutto il filmabile. City Hall (il titolo allude al municipio di Boston) è il punto d’approdo di tale galassia cinematografica da consegnare alla posterità e il regista, dopo Monrovia, Indiana, allarga il raggio d’azione della sua indagine facendo seguire a un focus suburbano molto piccolo uno urbano ben più vasto. Wiseman di fatto ci porta per mano in quasi tutti i luoghi e distretti di Boston, guidato dal proposito di illustrare quanto il governo della cosa pubblica sia necessario a una vita collettiva soddisfacente ed efficiente. Tale volontà, così enunciata, potrebbe suggerire una dose di retorica che però in Wiseman, come di consueto, è del tutto assente: nel suo lungometraggio a contare sono come sempre i nuclei spaziali e concettuali nei quali si inanellano dati, percentuali, moniti diplomatici e politici, riflessioni su diseguaglianze identitarie, razziali e di genere, con uno sguardo lucido e propulsivo alla contemporaneità. Wiseman in City Hall caldeggia, forse per la prima volta, la prospettiva di un “protagonista”, ovvero il primo cittadino bostoniano, ma tale adesione non comporta lo smarrimento di quella curiosità dialettica e problematica di cui egli è avido esploratore. City Hall è un film, per citare uno dei tanti interventi del documentario, fatto di “tappe, spazi sociali, luoghi di vita, punti di rifornimento”, frase che potrebbe di per sé sintetizzare lo slancio cinematografico dell’autore e la sua idea di militanza onnicomprensiva. Maiuscola anche la messa a punto etnografica delle diverse identità culturali della città, e le lungaggini del blocco centrale, in particolare sul fronte dei veterani americani e della comunità cinese, non inficiano un prodotto che, oltre alla magnetica parata di volti ed edifici che raccontano mille e più storie, concede anche singole sequenze muscolari e icastiche che giocano sul gigantismo, come quelle degli enormi materassi abbandonati triturati dai camion dell’immondizia e quella finale che allude, eloquentemente, alla necessità di tagliare i rami secchi a tutti i livelli. La sensazione generale, alla luce del finale e della scena, solo in apparenza casuale, con al centro un uomo divorziato che vive in condizioni fatiscenti, è anche quella di un afflato umanista che altrove il regista aveva scelto di tenere più a freno. Presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2020, dove Wiseman, assente, ha inviato un videomessaggio in cui definisce gli amministratori pubblici mostrati nel film come «un esempio di tutto ciò che Donald Trump non è».
Iscriviti
o
Accedi
per commentare