La classe operaia va in paradiso
1971
Paese
Italia
Generi
Grottesco, Drammatico
Durata
125 min.
Formato
Colore
Regista
Elio Petri
Attori
Gian Maria Volonté
Mariangela Melato
Mietta Albertini
Salvo Randone
Gino Pernice
Luigi Diberti
L'operaio Ludovico Massa (Gian Maria Volonté), detto Lulù, ha 31 anni, un'ulcera, due intossicazioni da vernice e due famiglie da mantenere ed è un'instancabile cottimista rispettato dai padroni e odiato dai colleghi. Quando rimarrà vittima di un incidente che gli farà perdere un dito, Lulù si ribellerà ai turni disumani di lavoro e all'indifferenza dei padroni, schierandosi con alcuni studenti e altri operai sindacalizzati. Il radicale cambiamento porterà Lulù a perdere il posto e a essere abbandonato dai suoi compagni e dai suoi famigliari.
Dopo il successo di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), la coppia Petri-Volonté racconta l'alienazione del lavoro in fabbrica come vertice di uno smarrimento collettivo che porta alla spersonalizzazione individuale e al distacco progressivo da un mondo che non si riesce più a comprendere e in cui è impossibile identificarsi. Il lavoro a cottimo si presenta come una normalizzazione di un processo apparentemente irreversibile di meccanizzazione e perdita di spessore umano, con relativa regressione a uno stato semi-animalesco e degradato (Lulù è ossessionato dal sesso oltre ad avere un fisico e una salute a dir poco cagionevoli per un trentunenne) e una distinzione sempre più labile tra l'operaio e il suo strumento di lavoro (tanto che Lulù e la macchina lavorano in stretta simbiosi e con tempistiche e ritmi pressoché identici). Ma il film denuncia con impeccabile arguzia anche l'inconcludenza e la contraddittorietà dei movimenti studenteschi e delle associazioni sindacali, troppo astratte, fondamentalmente autoreferenziali e impreparate dinnanzi a questioni spinose e concrete cui riescono a contrapporre solo stanchi slogan e risposte ideologiche. Lo stile di Petri anche in questa occasione riesce a coniugare sapientemente il taglio grottesco con un surrealismo cupo e rabbioso dando forma espressiva a un disagio lacerante incarnato da un magnetico Gian Maria Volonté, in una delle interpretazioni più impressionanti della storia del cinema italiano. Palma d'oro a Cannes nel 1972, premio conquistato in ex aequo con Il caso Mattei (1972) di Francesco Rosi.
Dopo il successo di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), la coppia Petri-Volonté racconta l'alienazione del lavoro in fabbrica come vertice di uno smarrimento collettivo che porta alla spersonalizzazione individuale e al distacco progressivo da un mondo che non si riesce più a comprendere e in cui è impossibile identificarsi. Il lavoro a cottimo si presenta come una normalizzazione di un processo apparentemente irreversibile di meccanizzazione e perdita di spessore umano, con relativa regressione a uno stato semi-animalesco e degradato (Lulù è ossessionato dal sesso oltre ad avere un fisico e una salute a dir poco cagionevoli per un trentunenne) e una distinzione sempre più labile tra l'operaio e il suo strumento di lavoro (tanto che Lulù e la macchina lavorano in stretta simbiosi e con tempistiche e ritmi pressoché identici). Ma il film denuncia con impeccabile arguzia anche l'inconcludenza e la contraddittorietà dei movimenti studenteschi e delle associazioni sindacali, troppo astratte, fondamentalmente autoreferenziali e impreparate dinnanzi a questioni spinose e concrete cui riescono a contrapporre solo stanchi slogan e risposte ideologiche. Lo stile di Petri anche in questa occasione riesce a coniugare sapientemente il taglio grottesco con un surrealismo cupo e rabbioso dando forma espressiva a un disagio lacerante incarnato da un magnetico Gian Maria Volonté, in una delle interpretazioni più impressionanti della storia del cinema italiano. Palma d'oro a Cannes nel 1972, premio conquistato in ex aequo con Il caso Mattei (1972) di Francesco Rosi.
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