Un gruppo di (ex?) preti vive insieme a una suora (Antonia Zegers) in una casa in riva al mare: è un luogo di penitenza dove redimersi dai propri peccati e potersi dedicare alla preghiera. Un giorno, però, arriva nella piccola comunità un nuovo sacerdote (José Soza), seguito da un uomo (Roberto Farías) che gli urla contro delle pesanti accuse. Le conseguenze saranno terribili.
Dopo la trilogia sulla dittatura di Pinochet (Tony Manero del 2008; Post Mortem del 2010; No – I giorni dell'arcobaleno del 2012), Pablo Larraín dirige il film della sua definitiva maturità. Il “club” altro non è che una spietata allegoria della Chiesa cattolica e dei suoi peccati, sviscerati con occhio cinico da un regista che ha sempre messo l'impegno in primo piano. La colpa e la solitudine, il bene e il male, la spiritualità e il materialismo: sono diverse le tematiche che tratta questo profondo lungometraggio, capace di scuotere a fondo, di colpire e di far riflettere. Larraín utilizza una fotografia dai toni nebbiosi, perfetta per rappresentare un inquietante microcosmo governato da leggi molto diverse da quelle pronunciate da Dio. Il principale interesse del gruppo è l'addestramento di un cane da corsa, almeno fino a quando l'arrivo di un nuovo “ospite” non sconvolge la routine quotidiana dei coinquilini del club. Anche la colonna sonora contribuisce a dare vita a una pellicola importante e fin sconvolgente, durissima nei dialoghi ed esteticamente notevolissima. Si veda in questo senso la toccante sequenza in montaggio alternato che arriva poco prima del finale. Sorprendente è anche l'intero cast, composto da molti attori che avevano già lavorato con il regista cileno in passato e in grado di regalare una serie di performance realmente impressionanti. Vincitore del Gran Premio della Giuria del Festival di Berlino 2015.