1942. Srulik (Andrzej Tkacz) ha solo otto anni quando si trova costretto a scappare dal ghetto di Varsavia per salvarsi dai nazisti. Da quel momento inizia una fuga che ha un solo scopo: sopravvivere.
Da un best seller di Uri Orlev, un lungometraggio che ha ben poco da aggiungere alla lunga fila di pellicole dedicate a simili tematiche. La ricetta è semplice – la Seconda guerra mondiale e un bambino in fuga – e la confezione degna di un prodotto televisivo di terz'ordine. Per coinvolgere il pubblico, il regista Pepe Danquart utilizza mezzucci di bassa retorica, ricattatori e pronti a qualsiasi eccesso drammatico pur di raggiungere il proprio scopo. Un esempio di “cinema del dolore” che emoziona molto raramente e che non giustifica la trasposizione sul grande schermo dell'omonimo romanzo: per realizzarlo in questo modo, tanto valeva lasciarlo sulle pagine di partenza.