Jeremiah Johnson (Robert Redford), veterano della guerra ispano-americana, si rifugia sulle montagne alla ricerca di una vita più vicina alla natura. Incontrerà altri come lui, troverà una donna e un figlio adottivo, ma si scontrerà anche con gli indiani, scoprendo a sue spese le dure leggi del west selvaggio.

Al suo secondo western dopo Joe Bass l'implacabile (1968), Sydney Pollack sfrutta al meglio la sceneggiatura firmata da John Milius ed Edward Anhalt (che si sono ispirati alla vita del trapper Mangiafegato Johnson) per dare vita a un film di ottima fattura, ambientato tra gli spazi mozzafiato dei parchi naturali dello Utah, magnificamente fotografati da Duke Callaghan. Il film tocca tangenzialmente il revisionismo del mito della frontiera per intraprendere una via del tutto personale: l'accostamento di due culture diverse (bianchi e Indiani), inevitabilmente destinate a scontrarsi, esemplifica la doppia anima che costituisce le fondamenta dell'America, in cui vincitori e sconfitti ricoprono un ruolo sempre più sfumato. Notevole la capacità di Pollack di accentuare la dimensione di (anti)eroe solitario del protagonista dipingendo un ritratto ruvido e selvaggio che esalta la natura ostile del paesaggio e, per estensione, della Natura non ancora deturpata dalla presenza dell'uomo. Concedendo molto spazio al silenzio delle montagne innevate per invitare lo spettatore a una contemplazione che è, soprattutto, identificazione con il dissidio interiore del personaggio. La violenza stilizzata con cui Pollack si adegua ai canoni del genere, è la dimostrazione del tocco raffinato di un autore che ritrova, nel cuore di tenebra del far west, la vera essenza delle proprie radici a stelle e strisce.