Creed III
Creed III
2023
Paese
Usa
Generi
Drammatico, Sportivo
Durata
116 min.
Formato
Colore
Regista
Michael B. Jordan
Attori
Michael B. Jordan
Jonathan Majors
Tessa Thompson
Wood Harris
Florian Munteanu
Dopo aver dominato il mondo della boxe, Adonis Creed (Michael B. Jordan) ha avuto una brillante carriera e una soddisfacente vita privata. Quando un amico d'infanzia ed ex prodigio della boxe, Damian (Jonathan Majors), si rifà vivo dopo aver scontato una lunga pena in prigione, è ansioso di dimostrare che merita di salire sul ring. L'incontro tra ex amici è più di un semplice combattimento. Per regolare i conti, Adonis deve mettere in gioco il suo futuro per combattere contro Damian, un lottatore che non ha nulla da perdere.
Terzo capitolo dedicato alle gesta di Adonis Creed, sequel di Creed II del 2018 e nono complessiva della saga scaturita da Rocky Balboa, Creed III segna una doppia prima volta, che ha ricadute non indifferenti nell’economia di tutta l'operazione: da un lato è il primo film del ciclo senza il pugile interpretato da Sylvester Stallone, che lo lanciò nel 1976, e allo stesso tempo segna l’esordio alla regia dell’attore protagonista Michael B. Jordan, che eredita il testimone da Ryan Coogler e Steve Caple Jr. (dietro la macchina da presa dei due film precedenti), compiendo il proprio salto definitivo, in termini di responsabilità, impatto e peso specifico totale, all’interno di tutto il franchise. Il film si ricollega direttamente al precedente, aprendosi con l’ultimo incontro (vittorioso) di Adonis prima del ritiro dalla boxe, per mostrare come in seguito tutto il suo vissuto si sia ripiegato su agi e privilegi rassicuranti, dalla vita familiare in casa lussuosa all’attività di promoter di altri pugili, proprietario di una palestra e procuratore a vario titolo. Il meccanismo narrativo della vecchia conoscenza che emerge dal passato, chiamata qui a scompaginare tutto e incarnata dalla figura di un ex galeotto, è un pretesto per "tornare a combattere" che suona tuttavia abbastanza stantio: il film non ci fa percepire granché luci e ombre di questo rapporto, limitandosi a distillare in tono minore e una buona dose di approssimazione sintetica tutti gli snodi che hanno caratterizzato i turning point narrativi della saga originaria (anche il primo film, dopotutto, era un sostanziale remake del Rocky capostipite). Trovandoci al cospetto di un mero replicante del passato (non più, però, così nostalgico, complice l’assenza di Sly), al di là della pura godibilità alimentare della consueta storia di boxe a tinte forti rimane poco, visto che la tensione non è mai quella che dovrebbe essere, le motivazioni alla base dei personaggi appaiono fortemente tirate via e la costruzione del racconto non ha grande piglio né personalità, collocandosi molto lontano anche dai rimandi shakespeariani e dai relativi chiaroscuri dei primi due film della saga. Anche le scene di boxe, per il modo grezzo e fin troppo schietto con cui sono state girate e concepite, faticano a stagliarsi nella memoria, accontentandosi più che altro di esibire soluzioni abbastanza tagliate non l’accetta, quando non addirittura tamarre e respingenti, e product placement grondanti (da DAZN a Ralph Laurent), esibiti a bella posa - anche nei climax familiari sentimentali, perfino - come in un cinepanettone di Aurelio De Laurentiis. Il passo alla regia di Jordan si conferma insomma decisamente più lungo della gamba, anche se la sua presenza scenica e abnegazione sono indubbie, così come sufficiente è la capacità di mantenere il piglio e lo slancio fisico e coriaceo dei precedenti film della nuova saga consumata sul ring, evitando nell'insieme di scadere o di precipitare, nonostante una dilagante assenza di originalità o anche solo di freschezza drammaturgica, che eviti tutti i passaggi da manuale o grado zero della sceneggiatura. Tessa Thompson si ritaglia un po’ più di minutaggio nei panni della fidanzata di Adonis, Bianca, ma non abbastanza da rendere il suo un personaggio anche solo abbozzato. A pesare in modo particolare è però soprattutto l’assenza di Stallone (una vera voragine, a conti fatti), confinato a un piccolo credit come produttore che sui titoli di coda aumenta ancor di più il senso di perdita e rimpianto per gli affezionati del ciclo.
Terzo capitolo dedicato alle gesta di Adonis Creed, sequel di Creed II del 2018 e nono complessiva della saga scaturita da Rocky Balboa, Creed III segna una doppia prima volta, che ha ricadute non indifferenti nell’economia di tutta l'operazione: da un lato è il primo film del ciclo senza il pugile interpretato da Sylvester Stallone, che lo lanciò nel 1976, e allo stesso tempo segna l’esordio alla regia dell’attore protagonista Michael B. Jordan, che eredita il testimone da Ryan Coogler e Steve Caple Jr. (dietro la macchina da presa dei due film precedenti), compiendo il proprio salto definitivo, in termini di responsabilità, impatto e peso specifico totale, all’interno di tutto il franchise. Il film si ricollega direttamente al precedente, aprendosi con l’ultimo incontro (vittorioso) di Adonis prima del ritiro dalla boxe, per mostrare come in seguito tutto il suo vissuto si sia ripiegato su agi e privilegi rassicuranti, dalla vita familiare in casa lussuosa all’attività di promoter di altri pugili, proprietario di una palestra e procuratore a vario titolo. Il meccanismo narrativo della vecchia conoscenza che emerge dal passato, chiamata qui a scompaginare tutto e incarnata dalla figura di un ex galeotto, è un pretesto per "tornare a combattere" che suona tuttavia abbastanza stantio: il film non ci fa percepire granché luci e ombre di questo rapporto, limitandosi a distillare in tono minore e una buona dose di approssimazione sintetica tutti gli snodi che hanno caratterizzato i turning point narrativi della saga originaria (anche il primo film, dopotutto, era un sostanziale remake del Rocky capostipite). Trovandoci al cospetto di un mero replicante del passato (non più, però, così nostalgico, complice l’assenza di Sly), al di là della pura godibilità alimentare della consueta storia di boxe a tinte forti rimane poco, visto che la tensione non è mai quella che dovrebbe essere, le motivazioni alla base dei personaggi appaiono fortemente tirate via e la costruzione del racconto non ha grande piglio né personalità, collocandosi molto lontano anche dai rimandi shakespeariani e dai relativi chiaroscuri dei primi due film della saga. Anche le scene di boxe, per il modo grezzo e fin troppo schietto con cui sono state girate e concepite, faticano a stagliarsi nella memoria, accontentandosi più che altro di esibire soluzioni abbastanza tagliate non l’accetta, quando non addirittura tamarre e respingenti, e product placement grondanti (da DAZN a Ralph Laurent), esibiti a bella posa - anche nei climax familiari sentimentali, perfino - come in un cinepanettone di Aurelio De Laurentiis. Il passo alla regia di Jordan si conferma insomma decisamente più lungo della gamba, anche se la sua presenza scenica e abnegazione sono indubbie, così come sufficiente è la capacità di mantenere il piglio e lo slancio fisico e coriaceo dei precedenti film della nuova saga consumata sul ring, evitando nell'insieme di scadere o di precipitare, nonostante una dilagante assenza di originalità o anche solo di freschezza drammaturgica, che eviti tutti i passaggi da manuale o grado zero della sceneggiatura. Tessa Thompson si ritaglia un po’ più di minutaggio nei panni della fidanzata di Adonis, Bianca, ma non abbastanza da rendere il suo un personaggio anche solo abbozzato. A pesare in modo particolare è però soprattutto l’assenza di Stallone (una vera voragine, a conti fatti), confinato a un piccolo credit come produttore che sui titoli di coda aumenta ancor di più il senso di perdita e rimpianto per gli affezionati del ciclo.
Iscriviti
o
Accedi
per commentare