Crepuscolo di gloria
The Last Command
1928
Cineteca Milano
Paese
Usa
Generi
Drammatico, Sentimentale
Durata
88 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Josef von Sternberg
Attori
Emil Jannings
William Powell
Evelyn Brent
Jack Raymond
Nicholas Soussanin
Michael Visaroff
Fritz Feld
L'ex generale Alexander (Emil Jannings), cugino dello zar di Russia, è caduto in disgrazia e vive da barbone a Hollywood. Il regista russo Leo Andreiev (William Powell) deve girare un film sulla fine dell'impero zarista e tra le comparse riconosce il vecchio generale, assumendolo per fare il ruolo di se stesso. Impegnato nelle riprese del film, Alexander ricorda i momenti precedenti la rivoluzione del 1917 e il suo amore per l'attrice Natacha (Evelyn Brent) che gli salvò la vita.
Opera seconda di Josef von Sternberg, in cui l'autore austriaco riflette sul cinema come strumento attraverso cui evadere dalla realtà e al contempo ricostruirla attraverso suggestioni ed esperienze personali ricercando una catarsi emotiva attraverso la messa in scena. La macchina cinematografica è quindi un'illusione contemporaneamente salvifica e tanto potente da portare alla morte, un mezzo di riscatto solo apparente che grazie alla riproduzione finzionale porta a confrontarsi con sé stessi, con le proprie angosce, i propri ricordi e il proprio vissuto. Ma il film è anche una allegoria sull'esercizio del potere (politico e artistico) come pratica che porta inevitabilmente alla solitudine e alla frustrazione di un sogno utopico di controllo su tutto prescindendo dal corso imprevisto degli eventi o dagli impeti del cuore e delle passioni. Strepitosa costruzione visiva permeata di malinconia e di un senso di sospensione onirica. Memorabili la sequenza della rivolta e il finale. Il soggetto è firmato da Lajos Birò (benché von Sternberg se ne sia successivamente attribuito la paternità) partendo da un'idea originale di Ernst Lubitsch. Intensa e struggente la prova di Emil Jannings, premiato con la statuetta per il miglior attore protagonista in occasione della prima edizione degli Oscar.
Opera seconda di Josef von Sternberg, in cui l'autore austriaco riflette sul cinema come strumento attraverso cui evadere dalla realtà e al contempo ricostruirla attraverso suggestioni ed esperienze personali ricercando una catarsi emotiva attraverso la messa in scena. La macchina cinematografica è quindi un'illusione contemporaneamente salvifica e tanto potente da portare alla morte, un mezzo di riscatto solo apparente che grazie alla riproduzione finzionale porta a confrontarsi con sé stessi, con le proprie angosce, i propri ricordi e il proprio vissuto. Ma il film è anche una allegoria sull'esercizio del potere (politico e artistico) come pratica che porta inevitabilmente alla solitudine e alla frustrazione di un sogno utopico di controllo su tutto prescindendo dal corso imprevisto degli eventi o dagli impeti del cuore e delle passioni. Strepitosa costruzione visiva permeata di malinconia e di un senso di sospensione onirica. Memorabili la sequenza della rivolta e il finale. Il soggetto è firmato da Lajos Birò (benché von Sternberg se ne sia successivamente attribuito la paternità) partendo da un'idea originale di Ernst Lubitsch. Intensa e struggente la prova di Emil Jannings, premiato con la statuetta per il miglior attore protagonista in occasione della prima edizione degli Oscar.
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