Charles (Gérard Blain) e Paul (Jean-Claude Brialy) sono cugini, ma non potrebbero essere più diversi. Se il primo è inappuntabile e precisissimo, il secondo è uno scapestrato con molti grilli per la testa. Se l'uno è fobico a livello sociale e ostile a instaurare nuovi contatti umani, l'altro non si fa problemi di fronte a nulla e affronta tutto con leggerezza, ragazze comprese. L'insuccesso, anche in ambito scolastico oltre che sentimentale, porterà Charles a cercherà la via della vendetta personale contro Paul. Un film crudele e tagliente, quello di Chabrol, che con questo lavoro portò a compimento le buone premesse palesate al suo esordio con Le beau Serge (1958) e si stagliò in maniera personale quale giovane autore emergente e di riferimento della Nouvelle Vague che sorgeva in quegli stessi anni. L'astro nascente del regista è alle prese con una storia di ordinaria riottosità familiare, perfettamente in linea col ribellismo dell'epoca e con un nuovo modo, scapigliato e scomposto rispetto al passato, di intendere il concetto di famiglia: non più un luogo di quieta condivisione di uno spazio comune e di una medesima sorte, ma covo di un malessere esacerbato e pronto a esplodere, deposito di rivalsa sociale e astio. Tutto ciò, in un momento storico all'insegna della controcultura e dell'affrancamento dal passato, di cui Chabrol se ne fa carico con mano sicura e lodevole coraggio, realizzando un dramma familiare non consolatorio, realistico e, se necessario, anche sgradevole e scorbutico. Il risultato stupisce per ostinazione, cattiveria e sincerità, specie nel mostrare il lato peggiore dei rapporti interpersonali e della provincia transalpina senza rinunciare a far venire alla luce una parte cruciale della propria formazione personale, culturale e sociale. Sfrontato, famelico, e nient'affatto datato come qualcuno potrebbe suggerire. Orso d'oro al Festival di Berlino.