Decalogo, 5 – Non uccidere
Dekalog, pięć
1989
Paese
Polonia
Genere
Drammatico
Durata
59 min.
Formato
Colore
Regista
Krzysztof Kieślowski
Attori
Miroslaw Baka
Krzysztof Globisz
Jan Tesarz
Artur Barcis
Krystyna Janda
Un ragazzo (Miroslaw Baka), annoiato dalla vita, progetta e attua l'omicidio di un tassista. Nonostante gli appelli anti pena di morte del proprio avvocato (Krzysztof Globisz), verrà condannato senza possibilità d'appello all'impiccagione.
Quinto episodio del Decalogo. Al giro di boa dell'intero ciclo di film, Kieślowski si confronta con il quinto comandamento: non uccidere. É forse questo l'episodio più teorico e dagli aspetti più metanarrativi e strutturali del Decalogo: sotto esame finisce infatti l'incertezza etico-giudiziaria per eccellenza, la pena di morte. A sottolineare la rilevanza fondativa del film è lo svelamento anche a livello diegetico della struttura a caso giudiziario della narrazione: una delle due parti in causa è un avvocato, i cui interventi contro la pena capitale a inizio film sottolineano la sua portata simbolica per l'intero progetto-decalogo, mentre la consueta parte del terzo elemento presente/assente è rivestita dallo Stato stesso, coincidente con il concetto di Giustizia tout court. La questione morale e religiosa viene dunque elevata a questione giuridica universale: l'ossimoro della pena come vendetta e umiliazione dell'individuo, contro la necessità del riconoscimento della colpa individuale al suo massimo (l'omicidio), e di una sua inevitabile conseguenza sul piano giuridico, sono alla base della riflessione del film, splendidamente fotografato in un allucinante giallo-verde dalle tonalità acide. Il finale assurge, nel grido e nel pianto disperato dell'avvocato, a suggello simbolico e universale di inusitata e irresistibile potenza. Kieślowski ha girato anche una versione cinematografica più lunga, con il titolo letterale Breve film sull'uccidere, mai distribuita in Italia, e facente parte del progetto incompiuto di una versione estesa per il cinema di tutto il Decalogo.
Quinto episodio del Decalogo. Al giro di boa dell'intero ciclo di film, Kieślowski si confronta con il quinto comandamento: non uccidere. É forse questo l'episodio più teorico e dagli aspetti più metanarrativi e strutturali del Decalogo: sotto esame finisce infatti l'incertezza etico-giudiziaria per eccellenza, la pena di morte. A sottolineare la rilevanza fondativa del film è lo svelamento anche a livello diegetico della struttura a caso giudiziario della narrazione: una delle due parti in causa è un avvocato, i cui interventi contro la pena capitale a inizio film sottolineano la sua portata simbolica per l'intero progetto-decalogo, mentre la consueta parte del terzo elemento presente/assente è rivestita dallo Stato stesso, coincidente con il concetto di Giustizia tout court. La questione morale e religiosa viene dunque elevata a questione giuridica universale: l'ossimoro della pena come vendetta e umiliazione dell'individuo, contro la necessità del riconoscimento della colpa individuale al suo massimo (l'omicidio), e di una sua inevitabile conseguenza sul piano giuridico, sono alla base della riflessione del film, splendidamente fotografato in un allucinante giallo-verde dalle tonalità acide. Il finale assurge, nel grido e nel pianto disperato dell'avvocato, a suggello simbolico e universale di inusitata e irresistibile potenza. Kieślowski ha girato anche una versione cinematografica più lunga, con il titolo letterale Breve film sull'uccidere, mai distribuita in Italia, e facente parte del progetto incompiuto di una versione estesa per il cinema di tutto il Decalogo.
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