Steven Taylor (Michael Douglas) architetta l’omicidio della moglie (Gwyneth Paltrow) insieme all’amante di lei (Viggo Mortensen): l’appartamento di lusso diventa il palcoscenico per quello che sembra essere il delitto perfetto ma la donna riesce ad uccidere l’assalitore mascherato. Il mandante rischia di essere scoperto e scambi di persona, moventi e bugie rendono tutto più complicato del previsto. 

Remake de Il delitto perfetto di Alfred Hitchcock, la pellicola di Andrew Davis oltre al titolo (in italiano), alla trama archetipica e alla coppia sullo schermo condivide poco con il suo celebre antecedente. La bionda in ascesa (Paltrow) e il sex simbol degli anni Ottanta (Douglas) rievocano il fascino di Grace Kelly e Ray Milland, mentre Mortensen infonde ambiguità alla figura dell’amante, di solito buono e paziente, stavolta squattrinato ed egoista. La location cambia e il soggiorno londinese diventa un loft a New York City. A questa rinnovata ambientazione corrisponde anche un differente registro cinematografico che assume caratteristiche tipicamente postmoderne: non solo l’intera operazione nasce come un rifacimento, ma tutto appare votato all’esaltazione dell’azione e alla spettacolarizzazione della violenza, dalle scene di sesso all’abbondanza di sangue; dai numerosi colpi di scena alla lotta finale. Distante dalle claustrofobiche inquadrature del maestro del brivido, la regia di Davis, seppur priva di uno sguardo autoriale che possa elevarla al di sopra della pura ripresa dei fatti, è evocativa della frenesia omicida dei personaggi e non lascia spazio alle spiegazioni logiche finali dei detective (tipiche del whodunnit), fagocitate da componenti thriller, tocchi di suspence e scene di alta tensione ben coreografate. Dunque, per i neofiti l’intrattenimento da sabato sera è assicurato mentre per i cinefili, nonostante la confezione patinata e la presenza di attori di un certo calibro, il prodotto finale è godibile ma anche facilmente dimenticabile.