Hermann Hermann (Dirk Bogarde) è ben lontano dall'avere una vita soddisfacente. La moglie lo tradisce col cugino, ma Hermann vive tutto insieme al suo doppio, dal quale non riesce a distaccarsi. La sua convinzione lo porterà a convincere qualcun altro a sostituirsi a lui.
Un film che mette in scena in modo mirabile uno sdoppiamento, nei termini famelici e privi di sconti che è lecito aspettarsi da Fassbinder. Un melodramma sinuoso e affascinante, che riesce a parlare di cinema e nevrosi in un colpo solo, un film sulla deresponsabilizzazione del vedere (il protagonista è un cinefilo maniacale, sempre rinchiuso nel buio di una sala), nonché sull'amore per il cinema come arma a doppio taglio, come dannazione e alterità dai contorni quasi demoniaci. Un vero film-saggio, che nelle mani di Fassbinder riesce a coniugare magistralmente cerebralità teorica e immediatezza dell'ispirazione. Sceneggiatura di Tom Stoppard, dal romanzo di Vladimir Nabokov. Una fonte letteraria non da poco, che però la pellicola non tramuta mai in sindrome d'inferiorità.