Dillinger è morto
1969
Rai Play
Paese
Italia
Generi
Drammatico, Grottesco
Durata
90 min.
Formato
Colore
Regista
Marco Ferreri
Attori
Michel Piccoli
Annie Girardot
Anita Pallenberg
Gino Lavagetto
Mario Jannilli
Carole André
L'ingegnere Glauco (Michel Piccoli) torna a casa dalla moglie (Anita Pallenberg) dopo una giornata di lavoro. Le azioni quotidiane (riposare, mangiare, guardare la televisione) lasciano presto spazio a derive grottesche: dopo aver smontato, rimontato, dipinto una pistola e molestato la servetta Sabine (Annie Girardot), l'uomo arriverà a compiere un gesto estremo.
Una delle opere più anomale e coraggiose di Marco Ferreri (autore del soggetto e sceneggiatore con Sergio Bazzini), che si lancia anticonvenzionalmente nei territori del simbolismo e della piena rarefazione stilistica (la quasi totale assenza di dialoghi, la presenza di oggetti significanti all'interno delle inquadrature) per definire in maniera concreta e disturbante il concetto di alienazione. Lo sguardo autoriale, lucido e corrosivo, denuncia la disumanizzazione consumistica di un mondo alla deriva («I bisogni per la sopravvivenza fisica sono risolti dalla produzione industriale, che propone come altrettanto necessari i bisogni di rilassarsi, divertirsi, comportarsi, consumare in accordo con i modelli pubblicitari, che rendono manifesti i desideri che ognuno può provare») e si sovrappone totalmente alla prospettiva del protagonista, simbolo di una melliflua borghesia e, come tale, condannato alla perenne insoddisfazione fisica e morale. Rituali di stampo feticista (la cena, consumata con perizia quasi religiosa; la visione dei filmini vacanzieri, detonatori di violenze insostenibili e inconfessabili desideri erotici), compulsioni (i continui movimenti delle mani, impegnate in mimi o azioni effimere) e ossessioni (l'attitudine sessuale, frustrata nell'incontro con la cameriera) che preludono all'ansia di libertà (destinata al fallimento inconsapevole) e al collasso morale. Un'opera definitiva e disturbante, summa dei cardini ferreriani e in netto anticipo sui tempi nel tratteggiare limiti e contraddizioni di un desolante contesto sociale. Strepitosa interpretazione di Michel Piccoli e straniante colonna sonora di Teo Usuelli. Il titolo si riferisce all'articolo di un giornale letto dal protagonista.
Una delle opere più anomale e coraggiose di Marco Ferreri (autore del soggetto e sceneggiatore con Sergio Bazzini), che si lancia anticonvenzionalmente nei territori del simbolismo e della piena rarefazione stilistica (la quasi totale assenza di dialoghi, la presenza di oggetti significanti all'interno delle inquadrature) per definire in maniera concreta e disturbante il concetto di alienazione. Lo sguardo autoriale, lucido e corrosivo, denuncia la disumanizzazione consumistica di un mondo alla deriva («I bisogni per la sopravvivenza fisica sono risolti dalla produzione industriale, che propone come altrettanto necessari i bisogni di rilassarsi, divertirsi, comportarsi, consumare in accordo con i modelli pubblicitari, che rendono manifesti i desideri che ognuno può provare») e si sovrappone totalmente alla prospettiva del protagonista, simbolo di una melliflua borghesia e, come tale, condannato alla perenne insoddisfazione fisica e morale. Rituali di stampo feticista (la cena, consumata con perizia quasi religiosa; la visione dei filmini vacanzieri, detonatori di violenze insostenibili e inconfessabili desideri erotici), compulsioni (i continui movimenti delle mani, impegnate in mimi o azioni effimere) e ossessioni (l'attitudine sessuale, frustrata nell'incontro con la cameriera) che preludono all'ansia di libertà (destinata al fallimento inconsapevole) e al collasso morale. Un'opera definitiva e disturbante, summa dei cardini ferreriani e in netto anticipo sui tempi nel tratteggiare limiti e contraddizioni di un desolante contesto sociale. Strepitosa interpretazione di Michel Piccoli e straniante colonna sonora di Teo Usuelli. Il titolo si riferisce all'articolo di un giornale letto dal protagonista.
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