Il gioco delle coppie
Doubles vies
2018
Paese
Francia
Generi
Commedia, Drammatico
Durata
100 min.
Formato
Colore
Regista
Olivier Assayas
Attori
Guillaume Canet
Juliette Binoche
Vincent Macaigne
Nora Hamzawi
Christa Théret
Pascal Greggory
Alain (Guillaume Canet), un editore parigino di successo che sgomita per adattarsi alla rivoluzione digitale, ha grosse perplessità sul nuovo manoscritto di Léonard (Vincent Macaigne), uno dei suoi autori di lunga data. Selena (Juliette Binoche), compagna di Alain, ha da sei anni una relazione extraconiugale proprio con Leonard.
Dopo il dittico con Kristen Stewart composto da Sils Maria (2014) e Personal Shopper (2016), Olivier Assayas ritrova Juliette Binoche per una commedia sofisticata che affronta di petto le trasformazioni del mondo dell’editoria con l’avvento selvaggio e sempre più trasversale e indiscriminato dei nuovi media, allargando però lo sguardo alla nostra epoca nella sua totalità. Il film è senz’altro meno anti-convenzionale e spiazzante delle ultime sortite della carriera del talentuoso regista francese, ma è anche una spassosa e spesso tagliente incursione nelle contraddizioni spietate del tempo che stiamo vivendo, alle prese con mutazioni acuminate e repentine. Assayas si conferma un ottimo e solido sceneggiatore, come ha dimostrato fin dai suoi esordi, facendo saettare e dialogare i suoi interpreti in maniera cristallina e briosa. Il film, però, qua e là ha il limite di esporre delle posizioni intellettuali in maniera troppo pedante e verbosa, limitandosi a illustrare la superficie, spesso borghese, delle cose piuttosto che a scandagliarla. La densità analitica e dialettica dello sguardo di Assayas e la sua ossessione fantasmatica per i new media e le loro implicazioni, però, è perfettamente desumibile, così come il tepore umano e affettivo con cui maneggia i suoi personaggi, inchiodandoli con delicatezza a vizi e virtù, passioni ombelicali e limiti insopportabili, doppie vite (davvero splendido il titolo, che strizza l’occhio all’autofiction letteraria di uno dei personaggi, ma non solo) e tripli, quadrupli inganni. Canet è in parte e la Binoche è come sempre irreprensibile e radiosa, ma a rubare la scena a tutti è il solito, irresistibile Vincent Macaigne. Toccante anche il finale nel suo buffo candore naturalista e tutta da ridere la battuta più esilarante del copione, indirizzata al celebrato regista austriaco Michael Haneke e al suo Il nastro bianco (2009). Presentato in Concorso a Venezia 75.
Dopo il dittico con Kristen Stewart composto da Sils Maria (2014) e Personal Shopper (2016), Olivier Assayas ritrova Juliette Binoche per una commedia sofisticata che affronta di petto le trasformazioni del mondo dell’editoria con l’avvento selvaggio e sempre più trasversale e indiscriminato dei nuovi media, allargando però lo sguardo alla nostra epoca nella sua totalità. Il film è senz’altro meno anti-convenzionale e spiazzante delle ultime sortite della carriera del talentuoso regista francese, ma è anche una spassosa e spesso tagliente incursione nelle contraddizioni spietate del tempo che stiamo vivendo, alle prese con mutazioni acuminate e repentine. Assayas si conferma un ottimo e solido sceneggiatore, come ha dimostrato fin dai suoi esordi, facendo saettare e dialogare i suoi interpreti in maniera cristallina e briosa. Il film, però, qua e là ha il limite di esporre delle posizioni intellettuali in maniera troppo pedante e verbosa, limitandosi a illustrare la superficie, spesso borghese, delle cose piuttosto che a scandagliarla. La densità analitica e dialettica dello sguardo di Assayas e la sua ossessione fantasmatica per i new media e le loro implicazioni, però, è perfettamente desumibile, così come il tepore umano e affettivo con cui maneggia i suoi personaggi, inchiodandoli con delicatezza a vizi e virtù, passioni ombelicali e limiti insopportabili, doppie vite (davvero splendido il titolo, che strizza l’occhio all’autofiction letteraria di uno dei personaggi, ma non solo) e tripli, quadrupli inganni. Canet è in parte e la Binoche è come sempre irreprensibile e radiosa, ma a rubare la scena a tutti è il solito, irresistibile Vincent Macaigne. Toccante anche il finale nel suo buffo candore naturalista e tutta da ridere la battuta più esilarante del copione, indirizzata al celebrato regista austriaco Michael Haneke e al suo Il nastro bianco (2009). Presentato in Concorso a Venezia 75.
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