Lui (James Mason) è un attore alcolizzato e in declino, lei (Judy Garland) una cantante di talento che presto diventerà una stella. Si incontrano, si innamorano, si sposano. L'uomo però non vuole più esserle d'intralcio, e si toglie la vita. Lei lo ringrazia sul palco, grata in eterno dell'amore ricevuto.
Senza dubbio uno dei migliori film di George Cukor, e uno dei titoli più belli di tutti gli anni '50: questo rifacimento dell'omonimo lungometraggio del 1937 di William Wellman, con Janet Leigh e Fredric March, viene declinato da Cukor seguendo forme e immagini di straordinario impatto scenico. Un'opera sul cinema, sull'amore e sulla morte, nelle loro rappresentazioni più estreme ed estetizzate. Più audace e cattivo della pellicola originaria, è un lavoro furbissimo nella sua grandezza: capace di riunire l'icastica sagacia cukoriana, una riflessione spietata su Hollywood e l'egida stilistica di una grande produzione (la Warner Bros.). Cukor, che si vide il film torturato in sede di montaggio, non avrebbe approvato l'esito finale: i 181 minuti di durata furono considerati troppi dagli executives, che lo “ridussero” a 156. Se James Mason è ai massimi storici, Judy Garland è anche oltre: perfetta nella sua tragica, memorabile, clownesca performance. Come attrice è straordinaria – la scena finale sul palco è da manuale di recitazione – ma anche come cantante mostra di avere un'intensità e una vocazione ineguagliabile. Le fu letteralmente scippato l'Oscar da Grace Kelly per La ragazza di campagna (1954), ma non la gloria imperitura. Rifatto ancora nel 1976 con lo stesso titolo, protagonisti Streisand-Kristofferson, regia di Frank Pierson. Magnifico Technicolor di Sam Leavitt. Sei nomination agli Academy Awards, nemmeno una statuetta.